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Cosa fare quando in gravidanza perdi i capelli

Cosa fare quando in gravidanza perdi i capelli

Se anche tu stai affrontando una gravidanza, sai già che questo è uno dei momenti più impegnativi ai quali verrà sottoposto il tuo corpo: durante la dolce attesa, infatti, l’organismo innesca una serie di reazioni in grado di cambiare profondamente il tuo aspetto. Si tratta comunque di cambiamenti temporanei, anche se nell’immediato possono causare non pochi problemi (soprattutto) psicologici: ad esempio, alcune donne potrebbero soffrire di caduta dei capelli durante la gravidanza. Cosa possiamo fare quando si manifesta questo problema?

Caduta dei capelli in gravidanza: quali sono le cause?

Generalmente i capelli, durante la fase della gravidanza, crescono più rigogliosi e con maggiore velocità: questo è dovuto all’aumento del livello di estrogeni, ormoni che accelerano la fase di crescita detta effluvium anagen, e che dunque portano ad una capigliatura più voluminosa. La fase di caduta, in queste circostanze, avviene dopo il parto e durante l’allattamento. Non sono però rari i casi di donne che perdono i capelli già durante la gravidanza: le cause, in queste circostanze, sono dovute agli alti livelli di tensione e soprattutto ad una serie di carenze vitaminiche. Anche la quantità di minerali presente nell’organismo crolla, favorendo l’indebolimento dei fusti e la loro conseguente caduta. Da ciò puoi facilmente intuire che, se stai perdendo i capelli durante i primi mesi della gravidanza, ciò può dipendere da due fattori: quelli psicologici e quelli organici. Per entrambi, comunque, esistono delle soluzioni che ti aiuteranno a far fronte alla perdita degli steli.

Quali sono i rimedi per la caduta dei capelli in gravidanza?

Cercare di contrastare ansia e stress può aiutare molto a ribaltare la situazione dei capelli, ma è l’alimentazione la principale protagonista: è sempre meglio adottare una dieta ad hoc, ricca di grassi Omega 3, di minerali e di vitamine. Anche la carenza di ferro è responsabile della perdita dei fusti, dunque non dimenticarti di includere le verdure nella tua dieta. Inoltre, devi imparare a trattare bene i tuoi capelli con prodotti detergenti delicati e non aggressivi: questo shampoo per la cute sensibile, ad esempio, è molto indicato per non stressare ulteriormente i capelli durante la gravidanza. Altre sostanze da integrare sempre e comunque sono l’acido folico e il silicio che, come saprai, è molto importante per la salute del capello. Quali sono gli altri rimedi anticaduta in gravidanza? Alcune sane abitudini come l’accortezza nei lavaggi: non è infatti necessario lavare i capelli ogni giorno. Inoltre, in questo periodo non dovresti nemmeno tingerti i capelli, dato che li indeboliresti ancor di più. Poi valgono alcuni consigli classici come l’utilizzo del phon ad una distanza di sicurezza, e l’uso di spazzole delicate e non eccessivamente rigide. Infine ricordati di bere molta acqua, e di massaggiare il cuoio capelluto per rivitalizzare i follicoli piliferi.

Tutto quello che avreste voluto sapere sulle cellule staminali del cordone ombelicale

Tutto quello che avreste voluto sapere sulle cellule staminali del cordone ombelicale

A cura di: Ufficio Stampa Sorgente

Per quale motivo le cellule staminali del cordone ombelicale sono un argomento così interessante? Che caratteristiche hanno e qual è la loro applicazione clinica?

Il cordone ombelicale mette in contatto la mamma e il bambino, permettendo lo scambio di nutrienti. È un organo molto importante che contiene mediamente 60-80 cc di sangue, in cui si trova una popolazione eterogenea di cellule staminali chiamate staminali cordonali.

Diversi studi scientifici hanno permesso di individuare i vari tipi di cellule staminali cordonali:

  • staminali cordonali simil-embrionali: sono capaci di differenziare in cellule dei tessuti endotermici, come l’intestino, mesodermici, come il derma, ed ectodermici, come il midollo spinale;

  • staminali cordonali mesenchimali: sono in grado di generare cellule del tessuto osseo, cartilagineo, adiposo e nervoso oppure staminali cordonali ematopoietiche: differenziandosi danno origine alle cellule midollari e a quelle del sangue;

  • staminali cordonali progenitrici endoteliali: sono capaci di originare le cellule che costituiscono i vasi sanguigni1,2.

Le cellule staminali cordonali, grazie al rilascio di specifici fattori, chiamati fattori umorali, come per esempio la prostaglandina E2 , esercitano un’azione anti-infiammatoria4,5.

L’interesse per queste cellule, però, è dovuto soprattutto alla loro ampia capacità differenziativa e proliferativa. Grazie a queste caratteristiche le staminali cordonali vengono utilizzate in medicina rigenerativa, la branca di medicina moderna che si occupa della rigenerazione degli organi o dei tessuti danneggiati, offrendo un’alternativa alla loro sostituzione.

Solo il trapianto autologo, effettuato con cellule prelevate direttamente dal paziente, ha un livello di efficacia molto elevato in medicina rigenerativa. Il trapianto allogenico, realizzato con cellule prelevate da un soggetto terzo, espone il paziente a reazioni immunitarie di rigetto che potrebbero costringerlo a sottoporsi a terapie mirate per tutta la vita. Nel caso di trapianti allogenici è preferibile utilizzare le staminali cordonali perché grazie alla loro “immaturità” immunologica1,3 offrono un attecchimento migliore e un rischio di rigetto minore rispetto alle staminali di altri tessuti.

La conservazione delle cellule staminali del cordone ombelicale, per questi motivi, è estremamente importante per le famiglie, in quanto rappresenta una possibilità per il trattamento di varie patologie.

Per maggiori informazioni: www.sorgente.com

Note bibliografiche

1. Francese, R. and P. Fiorina, Immunological and regenerative properties of cord blood stem cells. Clin Immunol, 2010. 136(3): p. 309-22.
2. Mihu, C.M., et al., Isolation and characterization of stem cells from the placenta and the umbilical cord. Rom J Morphol Embryol, 2008. 49(4): p. 441-6.
3. Harris, D.T., Non-haematological uses of cord blood stem cells. Br J Haematol, 2009. 147(2): p. 177-84.
4. Jiang, X.X., et al., Human mesenchymal stem cells inhibit differentiation and function of monocyte-derived dendritic cells. Blood, 2005. 105(10): p. 4120-6.
5. Spaggiari, G.M., et al., MSCs inhibit monocyte-derived DC maturation and function by selectively interfering with the generation of immature DCs: central role of MSC-derived prostaglandin E2. Blood, 2009. 113(26): p. 6576-83.

Essere mamme lavoratrici: come conciliare i due lavori

Essere mamme lavoratrici: come conciliare i due lavori

Spesso si pensa che i genitori, e nello specifico le mamme, vivano una vita semplice da un punto di vista lavorativo. Ma altrettanto spesso si ignora il fatto che non sono poche le mamme lavoratrici, costrette a barcamenarsi fra professione e famiglia. In questi casi, la fatica è doppia, così come l’attenzione ai particolari ed una capacità organizzativa ai massimi livelli. Eppure esistono delle professioni che possono venire incontro alle mamme che desiderano anche lavorare. Questi lavori hanno il pregio di rendere più semplice la conciliazione fra professione e famiglia, soprattutto per via della loro flessibilità di orari. Quali sono questi possibili lavori adatti alle mamme?

Le attività da freelance

Internet è un mondo davvero ricco di possibilità per lavorare e per portare a casa cifre mensili di tutto rispetto. Ma bisogna ovviamente possedere dei talenti e delle specifiche capacità, per poter abbracciare una delle tante attività da freelance. Questi lavori sono estremamente comodi perché possono essere svolti da remoto, e dunque da casa: in questo modo, la mamma diviene totalmente padrona dei propri orari lavorativi. Ma quali sono le migliori opportunità in tal senso?

Il copywriting è ideale per le mamme con la passione della scrittura, mentre le traduzioni sono una manna per le donne che conoscono bene le lingue straniere come l’inglese. Esistono poi altri mestieri da freelance come il social media specialist, che gestisce (sempre da casa) le pagine social ufficiali delle aziende. Inoltre, altrettanto attrattive sono professioni come la blogger o la venditrice online di oggetti fatti a mano. Si tratta di attività davvero vantaggiose: possono essere svolte con totale libertà di orari, da casa oppure da qualsiasi altro luogo. Bisogna però informarsi con un commercialista quando diviene necessaria l’apertura della partita IVA.

Le attività part-time a contatto con le persone

Una mamma non deve necessariamente lavorare da casa come freelance: esistono anche mestieri part-time che si conciliano perfettamente con la vita familiare, in quanto occupano metà giornata e consentono comunque un maggiore contatto con le persone. Ad esempio se amate i bambini potreste consultare le diverse offerte di lavoro per baby sitter sui siti web di annunci dove poter visionare le suddette offerte in pochi click, trovando le più pertinenti velocemente. Altre opportunità lavorative part-time ideali per una mamma?

Le insegnanti presso le scuole private come gli asili, ma anche le ripetizioni ai giovani studenti (che possono essere persino fatte online). Infine, l’insegnante sportivo, presso le palestre o le stesse scuole. Questi sono lavori part-time che offrono diversi vantaggi: se si ama il contatto con le persone, si ha anche l’opportunità di evadere dalla routine quotidiana, così da trovare molti più stimoli. E poi, impiegando solo mezza giornata, la mamma può tranquillamente gestire gli impegni che i bambini e la casa presentano ogni giorno.

Cosa sono le anomalie cromosomiche fetali?

Cosa sono le anomalie cromosomiche fetali?

A cura di: Ufficio Stampa Sorgente Genetica

La gravidanza è certamente uno dei momenti più intensi nella vita di una donna, ma porta con sé anche delle preoccupazioni.

Durante i 9 mesi di gestazione la priorità della futura mamma è quella di tutelare la propria salute e quella del bambino. Per esempio, sarebbe bene effettuare una moderata attività sportiva e avere un’alimentazione sana ed equilibrata per mantenere un buono stato di salute ma ciò non basta. Occorre sottoporsi regolarmente anche a controlli medici ed effettuare test di screening prenatale, come il test del DNA fetale per conoscere lo stato di salute del piccolo per tempo.

Esistono diversi tipi di test di screening prenatale non invasivi; in generale ciascuno di questi calcola la probabilità in che il feto possa presentare anomalie cromosomiche come le trisomie (di cui fanno parte la Sindrome di Down, di Edwards e di Patau) o difetti di chiusura del tubo neurale. Anomalie come queste, nel numero e nella struttura dei cromosomi, possono causare difetti congeniti1.

Nello specifico, con il termine “trisomia” ci si riferisce ad una serie di anomalie cromosomiche che prevedono la presenza di un cromosoma in più. L’età della gestante è uno dei fattori di rischio. Infatti, l’incidenza di trisomie è più alta quando la donna concepisce un figlio dopo i 35 anni di eta’1.

Le delezioni e le microdelezioni sono le anomalie che interessano la struttura dei cromosomi. In particolare in questo caso viene a mancare una parte di cromosoma che può essere di ampiezza variabile2.

Le delezioni di grandi dimensioni (che interessano più di 5Mb) causano la Sindrome di Wolf-Hirschhorn e la Sindrome di Cri-du-chat malattie che si manifestano con un ritardo mentale grave e con dismorfismi2

Le microdelezioni sono invece perdite di materiale genetico inferiori a 5Mb e causano la Sindrome di Di George e quelle di Angelman e Prader-Willi che si manifestano con ritardi mentali medio-gravi, dismorfismi facciali e altri difetti congeniti2.

Ogni gestante dovrebbe poter conoscere per tempo lo stato di salute del feto e per questo è consigliabile sottoporsi ad esami di screening prenatale non invasivi. Esistono diversi tipi di test che si possono scegliere in base al tasso di affidabilità e a quanto precocemente si desidera effettuarli. Il Bi-Test, combinato con l’esame ecografico detto translucenza nucale, può essere svolto tra l’11a e la 13a settimana di gravidanza ed è affidabile nell’85% dei casi3. Il Tri Test invece, ha affidabilità del 60% circa, si può effettuare tra la 15a e la 17a settimana di gravidanza.

A partire dalla 10a settimana di gravidanza la gestante può decidere di sottoporsi al test del DNA fetale, un esame prenatale non invasivo di ultima generazione che analizza direttamente il DNA del feto per cercare l’eventuale presenza di anomalie. Questo esame lo si effettua su un campione di sangue prelevato dalla mamma e tramite macchinari di ultima generazione vengono individuati e analizzati i frammenti di DNA del feto che circolano nel sangue materno. Il test ha un’affidabilità del 99,9%, nel rilevare le trisomie più diffuse (Sindrome di Down, Sindrome di Patau e Sindrome di Edwards) e altre anomalie cromosomiche e le principali microdelezioni.

Qualora un test di screening prenatale indicasse il rischio di un’anomalia fetale, la gestante potrà decidere se sottoporsi ad un esame di diagnosi prenatale come l’amniocentesi o la villocentesi, che restituiscono un esito diagnostico ma con rischio di aborto.

Il tuo ginecologo di fiducia saprà guidarti nella scelta dei test di screening più adatti per tutelare la tua salute e quella del tuo bambino.

Scopri il test sul DNA fetale Aurora. Visita il sito www.testprenataleaurora.it

Fonti:

  1. Embriologia medica di Langman di Thomas W. Sadler, a cura di R. De Caro e S. Galli; 2016.

  2. Manuale di Pediatria Generale e Specialistica di M. Bonamico; 2012; pag. 92.

  3. Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche -Di Antonio L. Borrelli, Domenico Arduini, Antonio Cardone, Valerio Ventrut

Cosa sono le cellule staminali? Un italiano su due non lo sa

Cosa sono le cellule staminali? Un italiano su due non lo sa

A cura di: Ufficio Stampa Sorgente

Si parla sempre più spesso di conservare le cellule staminali, ma il 50% degli italiani ha informazioni poco chiare sull’argomento e per alcuni è addirittura un termine del tutto sconosciuto. A rivelarlo è una ricerca condotta da ISPO Ricerche per Assobiotec, l’Associazione italiana per lo sviluppo delle biotecnologie.

In Italia manca l’informazione riguardo la possibilità di conservare o donare le cellule staminali contenute nel sangue cordonale. Secondo i risultati del sondaggio, il 48% degli intervistati, non sa esattamente cosa sia la conservazione del sangue cordonale. A questa percentuale si aggiunge il 29% del campione che ha risposto di aver sentito parlare di questa opportunità ma di non conoscere la differenza tra donazione e conservazione.

Alla scarsa conoscenza dell’argomento, inoltre, si aggiunge una confusione generale per quanto riguarda la definizione dei vari tipi di cellule staminali. L’82% degli intervistati ha dimostrato di confondere le cellule staminali cordonali con quelle embrionali e per l’81% del campione i problemi di natura etica di cui si sente spesso parlare riguardano proprio le staminali cordonali.

Per il sondaggio è stato interpellato un campione rappresentativo di 600 persone di età compresa tra i 20 e i 44 anni (una fascia d’età che dovrebbe includere gli individui più informati su questo tema in quanto più vicini all’età in cui solitamente si hanno dei figli).

Conoscere la differenza tra staminali cordonali ed embrionali, sapere di avere la possibilità di conservare le cellule staminali del cordone ombelicale ed essere al corrente che le staminali cordonali non sono legate a nessun problema di tipo etico, è molto importante per evitare ciò che accade in Italia, Paese in cui il 97% dei cordoni ombelicali viene gettato via sprecando un bene molto prezioso.

È importante cercare di diffondere la consapevolezza su questo tema e informare maggiormente le famiglie in attesa di un bambino sull’opportunità unica di conservare le cellule staminali del cordone ombelicale tramite una procedura semplice e sicura che verrà eseguita al momento del parto, subito dopo la nascita.

Per ulteriori informazioni: www.sorgente.com

Massaggio in gravidanza: non semplice benessere

Massaggio in gravidanza: non semplice benessere

Mi viene chiesto spesso se il massaggio in gravidanza è possibile e quali sono i pro e i contro.

Prima ancora di elencare i benefici del massaggio analizziamo cosa succede durante la gravidanza.

Il corpo della madre attiva al suo interno tutta una serie di processi biologici che consentono lo sviluppo del feto.

Durante la fecondazione si fondono due gameti geneticamente unici. Il processo di fusione dura 24 ore. Successivamente l’ovulo fecondato comincia a dividersi. All’inizio, le cellule non sono ancora differenziate, sono “totipotenti”. Non si può ancora accertare quali fra loro formeranno l’embrione proprio e quali si trasformeranno in placenta. A partire dal 6° giorno l’ovulo fecondato comincia a impiantarsi nella mucosa uterina. Il processo è terminato dopo 14 giorni.

Dalla terza settimana iniziano a formarsi gli organi, una circolazione sanguigna rudimentale comincia a funzionare e circa dopo 23 giorni, appaiono le prime contrazioni del sistema cardiaco primitivo che si sviluppa.

All’inizio della 4a settimana dopo la fecondazione si chiude il tubo neurale (abbozzo rudimentale del sistema nervoso), stadio preliminare dello sviluppo del cervello e del midollo spinale. I primi neuroni (cellule nervose) cominciano a formarsi alla fine della 4a settimana. A partire del 33o giorno si osserva uno sviluppo differenziato del midollo spinale e del cervello. Dopo otto settimane, l’embrione presenta gli abbozzi di tutti gli organi, incluso il cervello e il sistema nervoso.

Tutto ciò significa differenziazione cellulare (ogni cellula del corpo in formazione prenderà la sua direzione – le cellule del tessuto osseo sono differenti dalle cellule delle mucose per intenderci , sviluppo cellulare che porta alla crescita tissutale, con conseguente crescita organica. Il sistema vascolare della madre si modifica: aumenta il volume del sangue da circa 5.5 litri fino a 7 litri; I globuli rossi passano da 4.500.000 / mm3 a 3.700.000 mm3; i globuli bianchi aumentano fino ed oltre 10.500/ mm3; la frequenza cardiaca aumenta fino a 8-16 battiti in più e la pressione arteriosa in genere diminuisce di circa 10-20 mm/Hg.

E questo è solo un brevissimo e non esaustivo elenco del superlavoro che viene attivato dalla fecondazione a livello organico. Per non parlare di ciò che avviene a livello ormonale e psicologico.

Vediamo ora quali sono i benefici diretti del massaggio, quelli cioè attivati dallo stimolo fisiologico a cui viene sottoposto il corpo durante la manipolazione, universalmente conosciuti e ri-conosciuti:

– rilassamento muscolare e detensionamento delle zone contratte;

– supporto alla circolazione periferica (venosa e linfatica);

– miglioramento degli scambi metabolici a livello tissutale aiutando così l’eliminazione delle tossine e conseguente riduzione delle stasi;

– miglior ossigenazione dei tessuti;

– diminuzione dei dolori a carico dell’apparato muscolo scheletrico

Sappiamo che il massaggio attiva tutti i meccanismi dell’autoguarigione, stimola la produzione di endorfine, di serotonina e di molecole che hanno effetti ansiolitici, miorilassanti, sedativi e ipnotici. Ecco che allora risulta chiaro quanto ricevere dei massaggi durante la gravidanza non possa essere che un beneficio per la mamma e per il feto.

“Studi effettuati negli ultimi 10 anni hanno mostrato che introducendo nelle cure prenatali anche il massaggio, i livelli di ormoni associati con il rilassamento e lo stress venivano notevolmente alterati, influendo sull’umore e sulla salute cardiovascolare. Gli ormoni come la norepinefrina e il cortisolo (ormone dello stress) vengono ridotti, mentre i livelli di dopamina e serotonina (bassi livelli di questi ormoni sono associati alla depressione) aumentano nelle donne che ricevono dei massaggi bisettimanali dopo solo cinque settimane. Questi cambiamenti nei livelli ormonali hanno portato a minori complicazioni durante il parto e a meno casi di complicazioni dopo il parto, come il bambino sottopeso. Questo dimostra che un massaggio rilassante e terapeutico inserito nelle cure prenatali può portare dei benefici sia alla madre che al bambino.” (barbamamma 14 marzo 2010 ndr)

Tutto ciò non deve prescindere però dalla capacità dell’operatore di accogliere e prendersi cura di chi gli si rivolge e che sappia effettuare il massaggio personalizzato sulle necessità della mamma in quel preciso momento. Ricordiamoci che ogni attività manuale a diretto contatto con la persona non può prescindere dalle competenze, dalla preparazione e dall’empatia dell’operatore che non solo deve essere qualificato ma anche in grado di entrare in sintonia con il ricevente.

In conclusione: non esistono contro oggettivi, se non quelli previsti per qualsiasi persona con determinate patologie croniche o momentanee; esiste solo la capacità dell’operatore di “prendersi cura” della mamma.

 

VALERIA BISONI Massoterapista

(MCB – Arte Ausiliaria delle Professioni Sanitarie), Operatrice Cranio Sacrale, Esperta in 5 Leggi Biologiche

3803968970

Opera a Brescia presso Spazio La Libellula e provincia, Parma, Milano

Le cure odontoiatriche in gravidanza

Cure Odontoiatriche in gravidanza

In gravidanza nel corpo della futura mamma avviene tutta una serie di cambiamenti volti ad assecondare la crescita del feto e a preparare il corpo materno al parto.

Aumenta l’elasticità del connettivo (durante il parto i legamenti del bacino devono essere molto “morbidi”), questo rende le gengive molto più delicate, per cui basta una minima infiammazione per farle sanguinare e sentire dolore.

Si forma maggiormente, nel solco tra la gengiva ed il dente, un liquido che si chiama “fluido crevicolare”, praticamente un distillato del liquido extracellulare, che contiene sostanze nutritive per i batteri, facilitando la moltiplicazione dei microbi e aumentando il rischio di carie e gengiviti. Trascurare la salute orale durante la gravidanza può essere dannoso, oltre che per la salute orale della mamma, anche per il bambino, esiste infatti una correlazione (dimostrata dal 1996, e confermata in vari studi successivi) tra la malattia parodontale ed il parto pretermine, una delle maggiori cause di mortalità infantile.

Il meccanismo potrebbe essere tanto il passaggio dei batteri orali fino all’utero, quanto una “sensibilizzazione infiammatoria” di tutto il corpo che irrita anche la cavità uterina, oppure una combinazione di entrambi.

Per questo, è consigliabile in gravidanza, effettuare controlli frequenti presso il dentista ed eseguire almeno una volta durante la gestazione l’igiene professionale. Nel caso in cui si rendesse necessario intervenire per qualche lesione cariosa è bene ricordarsi che non ci sono controindicazioni ai trattamenti odontoiatrici per le donne incinta, diciamo che, soprattutto dopo il terzo mese di gestazione, non ci sono rischi ad effettuare i normali lavori dal dentista.

L’anestesia è una somministrazione locale, e l’anestetico passa nel circolo sanguigno solo in piccolissima parte, venendo disattivato ed espulso da fegato e reni. La terapia antibiotica ben programmata è innocua per il bambino: serve a salvaguardare la salute della madre, e ovviamente anche quella del bambino.

Ci sono antibiotici che vanno evitati in gravidanza, come le tetracicline, ma il ginecologo di fiducia è in grado di consigliare il farmaco più adatto, lo stesso vale per farmaci antidolorifici e antinfiammatori.

E’ meglio quindi non aspettare a farsi curare in attesa del parto, mettereste a rischio il bambino voi stesse: il dolore causa la produzione di catecolamine (adrenalina e noradrenalina) che a loro volta causano cambiamenti fisiologici nel corpo, dei quali potrebbe risentire il bambino.

Sono invece da rimandare le indagini radiografiche (i raggi X) le quali sono nocive solo su base probabilistica, ma è comunque preferibile evitare di fare lastre a meno che non ce ne sia un buon motivo, tale da rendere accettabili i rischi (rapporto costi-benefici).

 

Dott.ssa Don Daiana
Odontoiatra
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030 689 7400

Lavora presso studio dentistico del poliambulatorio SMAO
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Conservazione delle staminali cordonali: cos’è una biobanca e come è fatta

Conservazione delle staminali cordonali: cos’è una biobanca e come è fatta

A cura di: Ufficio stampa Sorgente

Il tema della donazione cordone ombelicale è molto delicato e le famiglie in attesa di un figlio devono poter accedere a quante più informazioni possibili per compiere una scelta consapevole. Ma a cosa è dovuta tutta questa importanza? Le cellule staminali contenute nel sangue del cordone ombelicale racchiudono un grande potenziale terapeutico: infatti, sono più di 80 ad oggi le patologie trattabili con le staminali del cordone in Italia e sono sempre più numerose le ricerche che valutano l’impiego di queste cellule per terapie innovative nel trattamento di patologie oggigiorno incurabili.1

Ma dove vengono conservate delle cellule così preziose? La struttura che permette la conservazione di campioni biologici umani, tra cui il sangue cordonale contenente cellule staminali, prende il nome di biobanca. È stato dimostrato scientificamente che i campioni di sangue cordonale possono essere crioconservati per anni e utilizzati in caso di necessità, dato che mantengono inalterate potenzialità. Tuttavia, per garantire la corretta preservazione del campione, le biobanche devono rispettare rigorosi standard di qualità e seguire scrupolosamente una serie di norme e corrette procedure che renderanno il campione adatto ad un trapianto.

Quando un campione di sangue del cordone ombelicale arriva alla biobanca, viene ricevuto dal laboratorio di ricezione e prende inizio la serie di passaggi fondamentali che ne garantiscono la corretta catalogazione, analisi e conservazione. Innanzitutto il campione viene registrato nel database della biobanca (anche mediante l’utilizzo di un sistema a codici a barre) e vengono inseriti anche dati fondamentali quale nome del donatore, data di arrivo e volume del campione.

In seguito, il sangue del cordone viene portato presso il laboratorio di ematologia, dove un team di biologi eseguirà, su una piccola aliquota, una serie di analisi molecolari e biochimiche per verificare la qualità del sangue. Questi esami preliminari consentono anche di rilevare la presenza di malattie infettive (come epatite B o C), il gruppo sanguigno del bambino e verranno anche contate al microscopio le cellule nucleate, numero che comprende anche le cellule staminali.

Il sangue del cordone ombelicale viene poi processato in una stanza completamente sterile, per evitare contaminazioni, e sottoposto a ulteriori test di qualità. Una volta terminate le analisi, il sangue viene inserito all’interno di una sacca che ne consente la crioconservazione data la presenza al suo interno di un agente crioprotettivo in grado di protegge le cellule nel processo di congelamento.

La crioconservazione avviene in biocontainers riempiti di azoto liquido la cui temperatura arriva fino a 196°C. Ad oggi numerose ricerche scientifiche hanno dimostrato che un campione di sangue cordonale può essere crioconservato fino anche a 24 anni e le cellule staminali in esso contenute mantengono inalterate capacità proliferative e differenziative2.

Fai un giro nella biobanca di Sorgente, clicca qui per un tour virtuale (per la versione mobile clicca qui).

Per maggiori informazioni sulla conservazione delle staminali del cordone ombelicale visita il nostro sito www.sorgente.com

Fonti:

1. Decreto ministeriale 18 novembre 2009

2. Broxmeyer, H.E. et al. Hematopoietic stem/progenitor cells, generation of induced pluripotent stem cells, and isolation of endothelial progenitors from 21- to 23.5-year cryopreserved cord blood. Blood. 117:47734777.

Toxoplasmosi in gravidanza: le misure di prevenzione

Toxoplasmosi in gravidanza: le misure di prevenzione

A cura di: Ufficio Stampa Sorgente Genetica

Durante la gravidanza ogni futura mamma va incontro a cambiamenti fisici ed emotivi. In questo periodo è molto importante che le gestanti decidano di effettuare controlli medici periodici. Gli esami di diagnosi prenatale possono essere non invasivi, come il bi-test, oppure invasivi, come l’amniocentesi o la villocentesi, e aiutano le future mamme a tutelare la propria salute e quella del bambino.

Del percorso di screening fanno parte anche esami del sangue per rilevare la presenza di eventuali infezioni e che stabiliscono se la mamma è immune ad alcune malattie, come la rosolia e la toxoplasmosi. Queste malattie, infatti, se contratte durante la gravidanza possono essere pericolose per il feto, portando gravi conseguenze nel suo sviluppo1.

La toxoplasmosi, nello specifico, è causata da un parassita, il Toxoplasma Gondii, ospitato da gatti e felini2.

Se la mamma contrae la toxoplasmosi in gravidanza c’è il rischio che trasmetta l’infezione al feto. Soprattutto se la gravidanza è inoltrata, si hanno più probabilità di contagio3. La gravità dell’infezione dipende dall’epoca gestazionale in cui viene contratta la malattia: più questo avviene precocemente più il danno al feto è maggiore4. L’infezione si può sviluppare se si entra in contatto con le feci dei gatti o se si consumano carne cruda o poco cotta.

Quali sono le misure preventive da adottare per ridurre il rischio di contrarre la toxoplasmosi?

Prima di tutto bisogna lavare accuratamente la frutta e la verdura (comprese le insalate preconfezionate). Un’altra abitudine importante è quella di lavarsi sempre le mani prima della preparazione e del consumo degli alimenti. Sono da evitare i cibi crudi come carne, pesce e insaccati ed è bene assicurarsi che carne e pesce siano cotti bene. Secondo uno studio europeo la prima fonte di contagio in gravidanza è data proprio dal consumo di carne cruda o poco cotta5. Inoltre, è preferibile evitare il contatto con del terreno che può essere contaminato da feci di gatto. È consigliabile indossare dei guanti protettivi e lavare molto bene le mani.

Attuando una strategia di prevenzione è possibile evitare di contrarre la toxoplasmosi durante la gravidanza. Controlli medici ed esami del sangue che rientrano all’interno del percorso di screening prenatale, sono consigliati a tutte le donne in dolce attesa per verificare l’immunità a questa malattia.

Tra gli esami di screening prenatale a cui la gestante può sottoporsi già dalla 10a settimana di gravidanza c’è il test del DNA fetale, un esame non invasivo che rileva le più diffuse trisomie come la Sindrome di Down, altre anomalie cromosomiche e le principali microdelezioni.

Per maggiori informazioni sullo screening prenatale non invasivo visita il sito www.testprenataleaurora.i

Fonti:
1. Principi di malattie infettive – a cura di L. Calza; pag. 207
2. Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche – Di Antonio L. Borrelli, Domenico Arduini, Antonio Cardone, Valerio Ventrut; pag. 294
3. Enciclopedia medica italiana, Volume 10; Uses Edizioni Scientifiche – Firenze; pag. 397
4. Gravidanza fisiologica, linea guida 20 – a cura del Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, CeVEAS
5. Cook AJ, Gilbert RE et al. Sources of Toxoplasma infection in pregnant women: European multicentre case-control study. BMJ 2000; 321:142-7.

Le cure odontoiatriche in allattamento

Cure odontoiatriche in allattamento

Durante il periodo dell’allattamento non ci sono controindicazioni alcune alle terapie odontoiatriche, il bambino è ormai separato dal corpo della madre quindi possono tranquillamente essere effettuate (con le dovute protezioni) le indagini radiografiche le quali erano state rimandate per precauzione probabilistica in gravidanza, le ghiandole mammarie sono sensibili ai raggi x esattamente come ogni altro tessuto del corpo umano.

Con alcuni accorgimenti è possibile assumere farmaci. In linea di massima gli antibiotici che si possono assumere in gravidanza possono essere assunti anche durante l’allattamento, lo stesso vale per gli antinfiammatori e antidolorifici.

Per i farmaci consentiti il passaggio nel latte avviene in quantità molto piccole e innocue per il bambino. E’ bene comunque precisare che ogni farmaco all’interno del corpo umano viene assorbito e poi eliminato a distanza di tempo variabile per ciascun farmaco, non vale dunque la pena interrompere l’allattamento causa l’assunzione di un farmaco, consultando il medico è possibile programmare di tirare il latte meccanicamente ed eliminarlo durante la terapia (qualora non esistano alternative compatibili) per poi riprendere successivamente l’allattamento.

In odontoiatria è comunque raro che si rendano necessarie terapie farmacologiche le quali non abbiano alternative compatibili con lo stato di gravidanza o allattamento. Un accorgimento importante riguarda l’utilizzo dell’anestetico locale che raggiunge il latte materno: è assolutamente innocuo ma può modificarne il sapore (così come tutto ciò che la madre ingerisce). Risulta piuttosto amaro e il piccolo potrebbe non gradire, per questo anche in questo caso è possibile tirare il latte precedentemente la seduta dal dentista e somministrare quel latte nelle ore successive al trattamento riprendendo l’allattamento il giorno successivo.

Concludiamo smentendo ciò che si sente spesso dire riguardo la salute dentale in gravidanza e allattamento: non è assolutamente vero che i denti si indeboliscono irrimediabilmente a causa della richiesta di calcio da parte del bambino; la riserva di calcio si trova nelle ossa, non nei denti; con adeguate cure e controlli si può mantenere una perfetta salute orale anche in questi particolari periodi.

Dott.ssa Don Daiana
Odontoiatra
Dentalblu srl Via Generale Luigi Soldo, 21, 25080 Nuvolera BS
030 689 7400

Lavora presso studio dentistico del poliambulatorio SMAO
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Cos’è la fluoroprofilassi

Tornare in forma dopo il parto: come affrontare diastasi dei retti addominali

La diastasi dei retti addominali equivale a una separazione dei retti dell’addome: allontanamento dei rispettivi retti, destro e sinistro, dalla linea mediana del corpo.
Pur non essendo esclusivamente femminile, la maggior parte dei casi si verifica in situazioni di post-parto.
diastasi-retti-addominali
Nello specifico, la separazione è causata dalla spinta esercitata dal feto sulla pancia e si tratta di una condizione fisiologica del tutto normale, per creare lo spazio necessario allo sviluppo del bambino.

Nella maggior parte dei casi, dopo il parto la posizione dei retti addominali ritorna alla normalità e lo spazio che si era creato, lentamente si richiude. In alcuni casi però, può capitare che questi fatichino a riavvicinarsi, generando un antiestetico rigonfiamento, che nei casi più gravi può accompagnarsi ad una erniazione viscerale.

In tali casi, l’unica soluzione è la chirurgia, un intervento di addominoplastica per la ricostruzione della parete addominale.

Come diagnosticare la diastasi dei retti addominali

Diagnosticare la diastasi dei retti è piuttosto semplice, ed è possibile procedere in autonomia:

  • Sistemarsi in posizione supina, con le ginocchia flesse e i piedi a terra, una mano dietro la testa e una sull’addome, poco sopra l’ombelico;
  • Esercitare una pressione con le dita sugli addominali, mantenendoli rilassati;
  • Contrarre gli addominali sollevano capo e spalle da terra, senza portare il collo in flessione, cercando di avvicinare il torace al bacino;
  • Muovere le dita a destra e sinistra alla ricerca delle pareti del muscolo.

DIASTASI-RETTI-verifica

Se la distanza fra i retti è superiore a tre dita e non si riduce contraendo l’addome, è consigliabile consultare uno specialista.
In questa condizione, evitate di intraprendere una qualsiasi attività sportiva.

Cosa fare?

Nella maggior parte dei casi, comunque, come già detto in precedenza, l’allontanamento dei retti è solo una questione temporanea. Rimane quindi un unico e frequente dilemma: “Si possono fare gli addominali?”. Certamente, ma con tutte le precauzioni del caso, ovvero andando a lavorare prima sulla muscolatura profonda (come il muscolo traverso e il pavimento pelvico) unitamente alla respirazione. Solo in seguito, dopo aver ripristinato un po’ di tono, si potranno introdurre esercizi per la muscolatura più superficiale.

Un allenamento scorretto potrebbe invece provocare l’esatto opposto dell’esito sperato, peggiorando quindi la situazione.
Anche la scelta di non intraprendere nessuna attività non è consigliabile perché si andrebbe a causare un’ulteriore ipotonia a livello addominale, con conseguente peggioramento estetico.

Essendo quindi molti gli errori che si possono commettere nell’esecuzione degli esercizi, è sempre meglio affidarsi a uno specialista che vi aiuti a recuperare il benessere psicofisico.


Francesca Musitano
Massoterapista, insegnante di pilates, ginnastica posturale e istruttrice fitness

Fattore Rh negativo in gravidanza: cosa può comportare?

Fattore Rh negativo in gravidanza: cosa può comportare?

A cura di: Ufficio stampa Sorgente Genetica

Durante la gravidanza è importante che la mamma si prenda cura della propria salute e di quella del futuro nascituro. Per questo, negli ultimi anni, si sono delineati dei percorsi di screening prenatale che prevedono che la donna effettui una serie di esami (come ad esempio il test del DNA fetale) in diversi momenti della gravidanza. Grazie a questi test è possibile monitorare lo stato di salute di mamma e feto e rilevare la presenza di condizioni potenzialmente pericolose per il bambino.

Una di queste è legata all’incompatibilità Rh tra mamma e feto, determinata quando una madre Rh- sviluppa una reazione immunitaria contro i globuli rossi del feto.

Il fattore Rh si definisce positivo o negativo in base alla presenza o assenza dell’antigene D sulla superficie dei globuli rossi. Nel caso in cui il sangue della gestante Rh- entri in contatto con quello del feto Rh+, il sistema immunitario della donna si attiva alla presenza dell’antigene D e inizia a produrre degli anticorpi contro i globuli rossi del feto. Questa reazione immunitaria può portare allo sviluppo di una malattia emolitico-fetale che potrebbe causare la morte del feto in utero o del neonato1,2. Questa malattia ha gravità variabile, in base alla risposta del sistema immunitario della donna. Il sangue della donna e quello del feto potrebbero entrare in contatto e scatenare la reazione della madre in diversi momenti, come ad esempio durante i test di diagnosi prenatale invasivi (come amniocentesi o villocentesi), emorragia, aborto, gravidanza ectopica, traumi addominali.

Nel corso degli anni è stato sviluppato un sistema di immunoprofilassi che permette di minimizzare i rischi determinati dall’incompatibilità tra il sangue di madre e feto. Questo trattamento, chiamato immunoprofilassi anti-D, consiste nella somministrazione alla donna, tramite iniezione, di immunoglobuline umane anti-D. Le immunoglobuline permettono di prevenire la formazione di anticorpi immunizzanti che possono attaccare le cellule del sangue del feto. Le gestanti Rh- possono sottoporsi a tali trattamenti sia prima sia dopo il parto, a seconda dei casi.

È stato stimato che nel 10% delle gravidanze sia presente un’incompatibilità Rh fra mamma e feto3. Sottoporsi ad adeguati controlli medici prima della gravidanza permette di valutare i gruppi sanguigni della coppia in cerca di un figlio e valutare il rischio. Inoltre sottoporsi ed esami di screening prenatale non invasivi durante la gravidanza è fondamentale per rilevare precocemente una possibile incompatibilità e decidere se intervenire con l’immunoprofilassi.

Nell’ambito del percorso di screening prenatale si effettua, entro la 16a settimana di gravidanza, il test di Coombs indiretto, che permette di individuare eventuali anticorpi anti-D nel sangue materno. Alle donne Rh- che hanno un partner Rh+, sarà chiesto di ripetere il test ogni mese nel corso della gestazione. Gli specialisti potrebbero consigliare anche di eseguire l’immunoprofilassi anti-D già alla 28a settimana di gravidanza, nel caso in cui queste pazienti abbiano effettuato esami di diagnosi prenatale invasiva o se hanno già portato a termine una gravidanza.

Consultando il proprio ginecologo è possibile pianificare un percorso di screening prenatale personalizzato con test specifici per evitare di correre rischi per sé stesse e per il bambino.

Per scoprire di più sui test prenatali non invasivi di analisi del DNA fetale visita il sito www.testprenataleaurora.it

Fonti:

  1. Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche – Antonio L. Borrelli, Domenico Arduini, Antonio Cardone, Valerio Ventrut
  2. La compatibilità di gruppo materno-fetale – di L. Brondelli, G. Simonazzi, N. Rizzo
  3. Gravidanza fisiologica, linea guida 20 – a cura del Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità,CeVEAS

Conservare le staminali cordonali: gli aspetti legali

Conservare le staminali cordonali: gli aspetti legali

A cura di: Ufficio Stampa Sorgente

Il 50% degli italiani non sa bene in cosa consista la conservazione​ delle cellule staminali del cordone ombelicale1.

Innanzitutto è necessario chiarire le differenze tra conservazione pubblica e privata.

Nel caso della donazione pubblica del sangue del cordone, i campioni donati vengono messi a disposizione della collettività per trapianto (previa verifica della compatibilità donatore/ricevente). Le famiglie che decidono di donare il sangue cordonale del proprio figlio, contenente le cellule staminali, ne perdono la proprietà.

Invece, con la conservazione privata delle cellule staminali del cordone, il campione rimane di proprietà del bambino e potrà essere utilizzato o da lui stesso, in caso di trapianto autologo, o da un suo familiare compatibile (trapianto allogenico intrafamigliare).

La situazione in Europa

La legislazione in materia di conservazione del cordone ombelicale cambia da Paese a Paese, anche all’interno dell’Unione Europea. In alcune nazioni è possibile solo la donazione pubblica, altre danno libero accesso a tutte le diverse alterative, e altre ancora hanno vincolato la donazione pubblica a particolari criteri. La legge nel nostro Paese, consente solo il prelievo del sangue cordonale mentre la crioconservazione deve avvenire presso una biobanca con sede all’estero. Le famiglie devono quindi rivolgersi a una società di fiducia che fornirà la dovuta assistenza in tutta la procedura e si occuperà della conservazione del campione fuori dal nostro stato.

La legislazione italiana

Il Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali italiano ha emanato, il 18 novembre 2009, un decreto intitolato “Disposizioni in materia di conservazione di cellule staminali da sangue del cordone ombelicale per uso autologo‐dedicato2“.

Il decreto autorizza la conservazione del campione in strutture pubbliche per uso allogenico, cioè in favore di persone diverse da quelle da cui le cellule sono prelevate (anche detta donazione solidale eterologa). È consentita, inoltre, la donazione a banche pubbliche di sangue da cordone ombelicale ad uso privato, per il neonato stesso o per un consanguineo con patologia in atto al momento della raccolta, “per la quale risulti scientificamente fondato e clinicamente appropriato l’utilizzo di cellule staminali da sangue cordonale, previa presentazione di motivata documentazione clinico sanitaria”, citando il decreto ministeriale.

Specifiche disposizioni di legge stabiliscono che il prelievo del campione deve essere effettuato presso una struttura certificata e da personale qualificato e nel rispetto di procedure corrette e approvate. Dopo il prelievo, il campione sarà inviato presso un istituto di tessuti che ne assicura la corretta conservazione e la tracciabilità per ricondurlo sempre al giusto donatore.

La normativa consente inoltre alle famiglie Italiane di poter crioconservare il sangue cordonale privatamente esportandolo in biobanche situate all’estero.

Il rientro del sangue del cordone ombelicale in Italia

In caso di necessità terapeutica, la biobanca dove è crioconservato il sangue cordonale spedirà il campione al centro di assistenza sanitaria che effettuerà l’intervento. La legge stabilisce che la biobanca deve essere accreditata dall’autorità competente. Anche l’Istituto Superiore di Sanità, attraverso il Centro Nazionale Trapianti, ha confermato la possibilità di reintrodurre il campione di staminali cordonali in Italia da centri di conservazione all’estero.

Interrogato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato sulla questione, il Centro Nazionale Trapianti ha ribadito l’infondatezza delle voci che circolano sulla non legittimità del processo di conservazione e richiamo del campione di staminali.

Per maggiori informazioni sulla conservazione delle staminali del cordone visita: www.sorgente.com​

Fonti:

  1. Ricerca condotta da ISPO Ricerche per Assobiotec, l’Associazione italiana per lo sviluppo delle biotecnologie.
  2. Decreto del Ministero della Lavoro, Salute e Politiche Sociali del 18 Novembre 2009
  3. Accordo della conferenza permanente Stato Regioni del 29 aprile 2010 sull’esportazione dei campioni di sangue per uso autologo

Cellule staminali cordonali: una risorsa in più per combattere la malattia

Cellule staminali cordonali: una risorsa in più per combattere la malattia

A cura di: Ufficio Stampa Sorgente

Quanto è importante conservare le cellule staminali del cordone ombelicale? Spesso i genitori non sanno che hanno tra le mani un bene prezioso, un vero e proprio patrimonio biologico. Le staminali cordonali infatti sono impiegate in campo medico per il trattamento di oltre 80 patologie. Di seguito alcuni casi di successo.

In Illinois, grazie ad un trapianto autologo di cellule staminali cordonali conservate alla nascita, una bambina di nove anni oggi va a scuola e gioca con altri suoi coetanei. Non pensa più alla sua malattia, una leucemia linfoblastica acuta sconfitta ormai da sei anni 1 .

Jan, un bambino di cinque anni, grazie al cordone ombelicale del suo fratellino, impiegato nel trattamento dell’anemia aplastica, una disfunzione nella produzione di midollo osseo, è finalmente uscito dall’ospedale 2 . Jan, grazie al trapianto, può fare quasi tutto ciò che fanno gli altri bambini della sua età. Questo è successo a Osnabrück, vicino Hannover, in Germania. La sua malattia avrebbe potuto essere trattata così già in precedenza se il suo stesso sangue del cordone ombelicale fosse stato disponibile.

Ma l’elenco continua. Mohammed, sette anni, sottoposto all’ospedale di Pavia al trapianto di cellule staminali del cordone ombelicale prelevate dal fratello minore, oggi può combattere una rara malattia genetica che lo priva delle difese immunitarie 3 .

Charlie Whitaker a quattro anni ha potuto finalmente dire addio alle frequenti trasfusioni cui era costretto sottoporsi a causa dell’anemia di Blackfan-Diamond e che inibiva in parte la produzione di globuli rossi 3 .

Dallas Hextell, affetto da paralisi cerebrale, grazie al trapianto autologo di cellule staminali del cordone ombelicale oggi è in grado di sorridere, camminare e parlare 4 .

 

Per ulteriori informazioni: www.sorgente.com

Note

1.Il caso è stato presentato sulla prestigiosa rivista specializzata "Pediatrics" con un articolo dal titolo: “Blood Transplantation in the Treatment of a Child With Leukemia.” (Pediatrics 2007; 119: e296-e300)

2 Trapianto eseguito in data 26 settembre 2005 presso la Facoltà di Medicina di Hannover

3 Fonte: ADUC – Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori

4 Fonte: Los Angeles Times

Test prenatale non invasivo: quale scegliere

Test prenatale non invasivo: quale scegliere

A cura di: Ufficio Stampa Sorgente Genetica

Quando si aspetta un bambino una coppia deve prendere molte decisioni importanti che riguardano la salute di madre e piccolo. Infatti adottare buoni abitudini alimentari e seguire uno stile di vita equilibrato è indispensabile per garantire il benessere di mamma e feto. Allo stesso modo è importante sottoporsi a regolari visite mediche e ad un test prenatale non invasivo per tenere sotto controllo la propria salute e quella del futuro nascituro.

I ginecologi raccomandano alle gestanti di sottoporsi ad una serie di controlli standard per monitorare l’andamento della gravidanza. Particolare importanza hanno i test​ di screening prenatale non invasivi, ​ i quali permettono ai genitori di sapere in modo precoce, già durante il primo trimestre, come sta il loro bambino. Ci sono diversi tipi di esami di screening a cui una gestante può sottoporsi, ma non sempre si hanno le idee chiare su quale sia la scelta più idonea.

Per scegliere a quale test prenatale non invasivo sottoporsi è importante valutare una serie di fattori.

Per prima cosa occorre decidere quanto precocemente si desidera conoscere lo stato di salute del proprio bambino. Il test del DNA fetale è un esame prenatale non invasivo al quale le donne si possono sottoporre già a partire dalla 10 a ​ settimana di gravidanza. Il Bi test, combinato alla Translucenza nucale, può essere svolto tra la 11 a ​ e la 13 a ​ settimana, mentre il Tri test si svolge tra la 15 a ​ ​ e la 17 a ​ ​ settimana.

Un altro fattore importante per scegliere il test di screening a cui sottoporsi è il tasso​ di affidabilità, ​ che viene misurato sulla percentuale di anomalie (come la Trisomia 21) effettivamente rilevate e il tasso di falsi positivi (ossia risultati positivi del test quando invece l’anomalia non è presente). Per il Bi test, combinato con l’esame ecografico di translucenza nucale, il tasso di affidabilità si attesta all’85​% 1 ​ ​ , con una percentuale di falsi positivi che arriva fino al 5%. Il Tri test ha il tasso di affidabilità più basso, del 60​% circa e dà risultati falsi positivi fino all’8% dei casi. Il test prenatale del DNA fetale ha invece il tasso di affidabilità più alto, del 99​,9% 2 ​ ed è in grado di rilevare le principali anomalie cromosomiche con percentuale di risultati falsi positivi minore dello 0,3%.

Questi test sono esami di screening definiti di tipo “probabilistico”, ossia forniscono la probabilità in percentuale per cui il bambino potrebbe essere affetto un’anomalia cromosomica. Quando si ottiene un esito positivo o se la situazione non è chiara, sarà necessario sottoporsi ad esami​ di diagnosi prenatale invasivi che saranno in grado di confermare il risultato del test. Per questo motivo è importante valutare con attenzione a quale test di screening affidarsi. In questo modo è possibile ottenere immediatamente dei risultati attendibili diminuendo le probabilità di dover ricorrere a esami invasivi che potrebbero aumentare il rischio di aborto.

Chiedi consiglio al tuo ginecologo di fiducia e scegli il test di screening prenatale più adatto alle tue necessità.

Inoltre, scopri il test prenatale Aurora visitando www.testprenataleaurora.it​

 

Fonti:

1. Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche ­ Antonio L. Borrelli, Domenico Arduini, Antonio Cardone, Valerio Ventrut
2. Poster Illumina ISPD_2014 Rev A

Come avviene la conservazione delle staminali cordonali?

Come avviene la conservazione delle staminali cordonali?

A cura dell’ufficio stampa Sorgente Genetica

 

Quando una coppia sta per coronare il sogno di diventare genitori può venire a conoscenza della possibilità di conservare le cellule staminali del cordone ombelicale.

A questo punto vengono spontanee alcune domande come: il bambino viene sottoposto a rischi o può sentire dolore? A cosa serve la conservazione delle staminali cordonali?

Abbiamo stilato un breve ma efficace vademecum che ha l’intento di dare una risposta a quesiti e dubbi.

In cosa consiste la conservazione delle cellule staminali e chi la effettua?

La conservazione ha come prima fase quella della raccolta del sangue del cordone ombelicale (ricco di cellule staminali). Questa avviene al momento della nascita del bambino e viene effettuata con procedure sicure che non arrecano danni o dolore a mamma e bebè. Ad eseguire questa operazione è il personale specializzato, dunque ostetriche che con un ago trasferiscono il sangue raccolto dalla vena ombelicale ad una sacca ematica che contiene al suo interno un anticoagulante.

Le analisi e i trattamenti

Una volta raccolto, il campione viene sottoposto ad analisi ematologiche che rilevano la presenza di batteri o contaminanti che potrebbero creare problemi nella conservazione, oltre a cellularità e volume. In seguito, il campione di sangue viene sottoposto a dei trattamenti, quali l’eliminazione dei globuli rossi o della frazione plasmatica. Grazie a questi trattamenti è possibile la crioconservazione in una banca del cordone ombelicale.

La conservazione

Ad ospitare i campioni di sangue sono i biocontainers adibiti alla conservazione, che mantengono una temperatura di -196° C, raggiunta con azoto liquido o aeriforme. Per evitare la formazione di ghiaccio, al campione viene aggiunto un agente crioprotettivo, il dimetilsolfossido al 10% (DMSO)¹.

I biocontainers

I biocontainers si trovano in stanze che hanno un efficiente sistema di allarme capace di rilevare delle possibili variazioni all’interno di un biocontainer. Questi sono inoltre dotati di una fonte secondaria di azoto che viene rilasciato in caso di black-out, così da garantire in ogni momento un’ottima conservazione. Ogni processo viene effettuato con grande cura e attenzione per permettere alle cellule staminali di essere conservate per molto tempo. Studi specifici hanno rilevato che è possibile conservare le cellule staminali per più di 24 anni senza che vengano meno le caratteristiche peculiari: capacità proliferativa, differenziativa e vitalità.²′³ Significativa è stata una ricerca di tipo sperimentale che ha visto cellule staminali cordonali conservate per oltre 24 anni essere trapiantate in un modello murino. I risultati sono stati sorprendenti: le cellule staminali hanno ripopolato il midollo osseo dell’animale e, raccolte a sei mesi dal trapianto, sono state capaci di popolare il midollo di un altro animale.³

 

Per saperne di più sulla conservazione delle staminali cordonali: www.sorgente.com

Fonti
1. Moise, K.J., Jr., Umbilical cord stem cells. Obstet Gynecol, 2005. 106(6): p. 1393-407.
2. Broxmeyer, H.E., et al., Hematopoietic stem/progenitor cells, generation of induced pluripotent stem cells, and isolation of endothelial progenitors from 21- to 23.5-year cryopreserved cord blood Blood. 117(18): p. 4773-7.
3. Broxmeyer, H.E., Cord blood hematopoietic stem cell transplantation in StemBook, T.S.C.R. Community, Editor. May 26, 2010.

 

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Come gestire con serenità l’arrivo di un neonato e la presenza di amici a quattro zampe in casa.

Come gestire con serenità l’arrivo di un neonato e la presenza di amici a quattro zampe in casa.

Babies and Dogs……is love…

Molti proprietari di cani che stanno per diventare genitori, sono preoccupati da come il loro amico a quattro zampe possa reagire all’arrivo del neonato.

Effettivamente un bimbo, con i suoi ritmi e le sue esigenze, sconvolge la vita dei genitori e, di conseguenza, anche quella del cane di casa. Inoltre, lo stile di vita della famiglia tende a cambiare radicalmente e spesso il cane vede ridursi drasticamente il tempo dedicato a lui: le passeggiate sono più corte, i momenti di gioco e d’interazione si riducono in frequenza e durata. Perciò, in previsione della nascita del neonato, bisogna fare in modo che il cane impari a conoscere i bambini gradualmente e in modo corretto, associandoli sempre ad esperienze positive.

Quando il bambino arriva a casa, è bene non diminuire la quantità di attenzioni riservate al cane e premiare sempre (con carezze, premi in cibo e giochi ) l’amico a quattro zampe, quando rimane tranquillo . In questo modo, nella sua mente, si creerà un’associazione positiva con l’immagine del bambino. Proprio a tale scopo, evitiamo di punire il cane in presenza del bimbo, altrimenti si rischia, al contrario, un’associazione negativa.

Allo stesso modo, evitiamo di allontanare l’amico a quattro zampe quando tenta un approccio con il bambino: cerchiamo piuttosto di far stare il cane nella stessa stanza con il bimbo, tenendolo magari impegnato con qualche gioco interattivo riempito con del cibo (si tratta di giocattoli che stimolano la mente, il fiuto e la masticazione). Al contrario, se il cane si nasconde o si allontana dal bimbo, non costringiamolo per forza a stare in sua presenza. Se prima dell’arrivo del piccolo il cane era abituato a stare sul divano con voi a guardare la tv, continuate il più possibile a farlo, non allontanatelo da tutte le abitudini che aveva con voi, se no assocerà il bimbo all’allontanamento di tutti i suoi privilegi!

Naturalmente, è sempre necessario supervisionare le interazioni tra cani e bambini, perché anche l’amico a quattro zampe più tranquillo, se disturbato eccessivamente, potrebbe reagire in modo aggressivo per difesa e, comunque, anche giocando, potrebbe fare involontariamente del male al bambino.

Quando non è possibile supervisionare le interazioni tra cane e bambino, perché stiamo preparando il pranzo o altro, allora è preferibile tenerli separati; allo scopo si possono usare dei piccoli cancelli per dividere gli ambienti oppure si può tenere il cane in un altra stanza o in giardino. Se, però, il cane non era abituato a stare all’esterno, non lasciatelo tutta la giornata fuori, si sentirebbe abbandonato, potrebbe piangere oppure cercare continuamente di entrare dalla porta o dalla finestra!

È, inoltre, bene evitare che il bambino tocchi le cose del cane, come la ciotola, la cuccia e i giochi. A questo scopo collochiamo la cuccia in una zona della casa tranquilla e inaccessibile al bimbo. Un cane non correttamente socializzato (significa non abituato fin dalla più tenera età a convivere con i bambini piccoli, lasciato a vivere in un recinto, alla catena o in giardino, lontano dalla famiglia) indipendentemente dalla razza, può non riconoscere un bambino piccolo come appartenente alla specie umana. Un bambino piccolo, infatti, ha proporzioni fisiche diverse da quelle di un adulto umano, emette strilli e versi differenti da quelli di un adulto, si muove a scatti, corre, sgambetta e cade.

Bisogna ricordare che i cani non sono né “buoni”, né “cattivi”.

Sono cani. Il cane non ha un senso morale, non ha una cultura, non ha leggi. E’ un animale e si comporta secondo il proprio etogramma. Si comporta anche secondo l’educazione che ha ricevuto… ed esistono indubbiamente razze (o tipologie) più o meno reattive, più o meno possessive, più o meno mordaci… ma tutti i cani sono tendenzialmente “buoni”, dal punto di vista morale (nostro).

Purtroppo, anche il cane più dolce del mondo, in certe condizioni, può mordere.

Dire“ho lasciato mio figlio da solo con quel cane perché so che è buono” non ha alcun significato, perché il cane può reagire mordendo ad un’infinità di stimoli: il dolore (vedi tirate di coda, dita negli occhi e altre cose che i bambini piccoli a volte compiono in assoluta innocenza – perchè neppure loro hanno ancora ben chiaro i concetti di “giusto” e “sbagliato” – ma che fanno male al cane lo stesso); la difesa del cibo o anche solo di un oggetto (palline, ossetti ecc.); fraintendimento di atteggiamenti amichevoli/giocosi che il cane scambia per minacciosi; suoni che lo infastidiscono (i bambini strillano spesso e volentieri) eccetera eccetera.

Non fate quegli errori del tipo: “ Il cane è bravissimo, si lascia fare di tutto!”. Frasi come questa hanno conseguenze a volte molto pesanti, per il bambino…. ma anche per il cane. Un cane che morde perché ha sentito fastidio e/o dolore è “cattivo”? Neanche per idea: è un cane, che, ricordiamolo, non ha nessunissima arma di difesa al di fuori dei denti, quindi usa quelli. Anche il bambino di due anni per difendere i propri giochi potrebbe arrivare a mordere l’amichetto!

Un bimbo piccolo, al cospetto di un cane, può, e sicuramente lo farà, se non c’è supervisione:

1. infilare un dito in un occhio del cane o in un orecchio o in bocca ;
2. agguantare la pelliccia pizzicandola malamente e strappare i peli;
3. pestare una zampa o la coda;
4. può montare il cane come se fosse il cavallo;
5. toccare un punto dolorante del cane.
6. contendere o appropriarsi di un osso, di un giocattolo suo che il cane vuole, o di un gioco del cane lasciato per terra;
7. entrare nello spazio fisico che il cane considera suo;
8. mettere le mani nella ciotola del cane.

A tutte queste azioni, il cane può rispondere con aggressività “territoriale” o di dominanza.

Non lascerei mai un cane e un bambino piccolo da soli, perché so che esiste una remota possibilità che un gioco innocente possa trasformarsi in un gioco mortale.

La supervisione dell’adulto impedisce al bambino di stressare il cane. Tutti i cani e i bambini devono essere educati al reciproco rispetto e convivenza.

Quindi, il rapporto tra cani e bambini è sicuro quando è mediato da un adulto responsabile che impedisce al bambino di disturbare il cane.

I bambini che crescono con gli animali domestici (cani, gatti, uccellini…), hanno sicuramente una capacità empatica maggiore, capacità di leggere, comprendere le emozioni e i comportamenti altrui, proprio perchè allenati, fin dalla più tenera età, all’osservazione di un essere vivente ricco di bisogni fisici, ma anche psicologici come un animale, e difficilmente interpretabili. I benefici sono, quindi, a livello psicologico ed educativo; interagire con l’animale mette in moto il desiderio di curare un altro essere vivente, di sperimentarsi in una relazione. A livello educativo, insegna ad attendere i tempi dell’altro e la virtù della pazienza. Inoltre, ci sono benefici fisici legati all’attività motoria che il bambino può fare insieme al suo amico a quattro zampe, nonché attività sociali. Un bimbo, insieme al suo animale cattura sempre l’attenzione e suscita simpatia immediata.

Queste indicazioni sono rivolte a chi già possiede un cane prima dell’arrivo del figlio.

In caso contrario, ovvero, quando si decide di prendere un cane dopo la nascita di uno o più figli mi sento di consigliare un’accurata riflessione. Certo che è bello avere un cane e godere delle sua compagnia, ma proprio perchè nessuno abbia problemi, ovviamente anche il cane necessita una attenta autovalutazione dei propri comportamenti e delle proprie possibili capacità!

 

Dott.ssa Mariateresa Bertazzoli

Docente di Psicologia e Pedagogia

Consulente Pedagogica

mariateresabertazzoli@gmail.com

Domande frequenti e risposte sulla conservazione cordone ombelicale

Domande frequenti e risposte sulla conservazione cordone ombelicale

A cura di: Ufficio Stampa Sorgente

Chi è abilitato ad eseguire il prelievo di cellule staminali cordone ombelicale? Cosa succede nel caso di parto gemellare? Scegliendo di partorire in casa è ugualmente possibile conservare le staminali del cordone? Tanti dubbi per le mamme che si informano sulla conservazione del cordone e cellule staminali; tante domande a cui dare risposta.

Vantaggi e problemi legati alla conservazione privata del cordone ombelicale: quali sono?

Uno dei principali vantaggi della conservazione privata consiste nella possibilità di disporre del campione immediatamente in caso di bisogno; c’è poi la totale compatibilità con il bambino di queste cellule provenienti dal suo cordone. I problemi invece derivano dalla possibilità che il sangue, o più precisamente le cellule al suo interno, non siano sufficienti per effettuare il trapianto e per fare in modo che esso abbia un esito positivo in rapporto al peso del ricevente. Numerose ricerche scientifiche hanno però portato alla possibilità di aumentare in vitro il numero delle cellule staminali disponibili per il trapianto, superando così il problema.

Chi può effettuare il prelievo del sangue dal cordone ombelicale subito dopo il parto?

Le figure abilitate per eseguire l’operazione del prelievo sono infermieri, ostetriche e medici ginecologi. Con la scelta di partorire in casa è ugualmente possibile conservare le cellule staminali del cordone? La risposta è positiva ed è possibile conservare il sangue cordonale consegnando il kit di prelievo all’ostetrica che vi assisterà durante il parto. Tale kit sarà fornito dalla vostra banca del cordone ombelicale insieme alla documentazione riguardante il procedimento da seguire per il prelievo.

E in caso di parto gemellare? Come si procede per conservare il cordone ombelicale?

Se i gemelli sono omozigoti è possibile effettuare un unico prelievo in quanto le cellule staminali cordonali sono compatibili al 100% con tutte e due i gemelli; per i gemelli eterozigoti invece, occorre effettuare un doppio prelievo e una doppia conservazione.

Come stabilire la compatibilità delle cellule staminali con gli altri membri della famiglia? Nel caso in cui un membro della famiglia, ad esempio un fratello, necessiti delle staminali conservate come si procede?

Le probabilità che il campione sia compatibile con i familiari diminuiscono con il diminuire del grado di parentela tra il donatore e il soggetto ricevente. In particolare i genitori hanno una probabilità di risultare compatibili che può arrivare fino al 50%, mentre tra fratelli la percentuale di compatibilità scende fino al 25%

 

Saranno degli esami specifici, chiamati di tipizzazione HLA (Human Luekocyte Antigen) a determinare la compatibilità tra le cellule conservate e il ricevente. La primissima tipizzazione può essere eseguita già al momento della crioconservazione prelevando una piccola quantità del sangue del cordone, ma anche successivamente, attraverso un semplice prelievo di sangue. Se la tipizzazione di base conferma la compatibilità si passa all’analisi del DNA e in ultima battuta all’analisi MLC (Mixed Linfocyte Culture) che sancisce definitivamente il grado di compatibilità.

 

Per informazioni: www.sorgente.com

I segreti di una serena prima gravidanza

I segreti di una serena prima gravidanza

A cura di: Ufficio Stampa Sorgente

La prima gravidanza porta con sé grandi emozioni ma spesso anche tante paure e dubbi nella futura madre.

Ci sono degli accorgimenti che ogni donna in dolce attesa dovrebbe adottare per tutelare la propria salute e quella del bimbo, come seguire uno stile di vita sano e sottoporsi a tutti i controlli ginecologici e ai test di screening prenatale.

L’alimentazione è sicuramente la prima cosa a cui una donna incinta deve prestare attenzione. Una dieta sana ed equilibrata permette di assimilare i giusti nutrienti e in quantità necessaria per garantire la normale crescita del feto. Inoltre un’alimentazione adeguata serve anche a fornire il giusto apporto di energia al fisico della mamma, sottoposto ad enormi cambiamenti e fatiche durante tutto l’arco della gravidanza.

Attenzione va rivolta anche alla quantità di cibo e calorie assunte: esagerare non fa bene. Un aumento eccessivo di peso può infatti favorire l’insorgere di numerose patologie, anche gravi, come il diabete gestazionale.

Probabilmente scontato ma mai ribadito a sufficienza è il concetto che in gravidanza sarebbe bene bandire del tutto sia fumo che alcol. Infatti ciò che viene assimilato dall’organismo della mamma viene poi trasferito al feto e per questo motivo i ginecologi raccomandano di smettere di fumare e di assumere bevande alcoliche. Queste sostanze potrebbero portare danni all’apparato respiratorio del bambino e le bevande alcoliche, quando assunte in eccesso, possono portare allo sviluppo della sindrome fetale alcolica, un disturbo che può arrecare danni molto seri al feto, sia di tipo fisico che mentale. Il fumo, inoltre, porta ad una minore pressione sanguigna, per cui il circolo di sangue materno verso il feto è diminuito e ciò può favorire un parto pretermine.

Ogni donna in gravidanza dovrebbe poi ricordarsi che è nella scelta dei farmaci da assumere è meglio evitare le decisioni perse in autonomia e il “fai da te”. È infatti buona prassi consultare sempre il ginecologo per accertarsi su quali siano i farmaci giusti per contrastare alcuni disturbi senza avere effetti collaterali sul feto. In particolare, le donne che seguono una terapia farmacologica quotidiana non dovrebbero interromperla ma consultare subito lo specialista per verificare l’eventuale necessità di variarla.

Appena accertato lo stato di gravidanza, la futura mamma dovrebbe effettuare test di screening prenatale e specifici esami del sangue per verificare se siano presenti infezioni e malattie virali, e che permettono anche di stabilire se la gestante sia immune a rosolia e toxoplasmosi, malattie che, se contratte in gravidanza, possono essere pericolose per il piccolo. Solitamente tutti questi esami del sangue vengono svolti nei primi mesi di gravidanza nel corso dei test di screening prenatale consigliati dal ginecologo.

L’età della gestante (superiore ai 35 anni 1 )  e la presenza in famiglia di determinate patologie genetiche potrebbero influenzare la salute del bambino in arrivo aumentando la probabilità che sia affetto da difetti cromosomici. Il ginecologo o uno specialista in genetica sapranno consigliare la madre su quali test di screening prenatale effettuare per verificare lo stato di salute del bambino.

Sottoporsi agli esami di screening e diagnosi prenatale è dunque una tappa fondamentale nella gravidanza. Tramite test prenatali diagnostici di tipo invasivo, quali amniocentesi e villocentesi, è possibile avere una diagnosi sullo stato di salute del feto. Tuttavia tutti i test diagnostici invasivi hanno un rischio di aborto pari all’1% 1 .

Alcuni esami di screening prenatale non invasivi, che non hanno quindi alcun rischio di aborto, hanno un’elevata affidabilità nella rilevazione della Sindrome di Down e altre anomalie genetiche e cromosomiche. Tra questi test rientra il test del DNA fetale. Tale test viene effettuato analizzando i frammenti di DNA del feto circolanti nel sangue materno; dall’analisi di questi frammenti è possibile scoprire se il bambino abbia anomalie cromosomiche o mutazioni genetiche; tali anomalie vengono rilevate con un’affidabilità pari al 99,9% 2 .

 

Per sapere in cosa consiste il test del DNA fetale visita il sito www.testprenataleaurora.it

 

Fonti:

1. Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche- Di Antonio L. Borrelli, Domenico Arduini, Antonio Cardone, Valerio Ventrut

2. Poster Illumina ISPD_2014 Rev A

Conservare privatamente e richiamare il campione in Italia è legale e consentito ecco perché

Conservazione privata del sangue cordonale: il rientro in Italia del campione

Conservazione privata del sangue cordonale: il rientro in Italia del campione

A cura di: Ufficio Stampa Sorgente

La conservazione cordone ombelicale è fonte di dubbi (anche a causa della circolazione di informazioni non corrette), circa il rientro in Italia per fini terapeutici del campione prelevato e consegnato ad una biobanca per la conservazione privata. Vediamo cosa dice la legge.

Nell’Unione Europea il prelievo, la conservazione e la circolazione dei campioni di sangue cordonale sono regolati da norme di legge specifiche1 che stabiliscono che questi debbano essere prelevati seguendo una certa procedura, da persone qualificate e presso una struttura accreditata. Dopo aver prelevato il sangue, il campione va inviato a un istituto di tessuti affinché ne assicuri la tracciabilità e lo conservi correttamente.

Questo istituto in caso di necessità terapeutica consegnerà il campione al centro sanitario, dove sarà eseguito il trapianto. Secondo la legge, inoltre, la biobanca (la struttura che si occupa della conservazione delle cellule staminali) deve avere l’accreditamento dell’autorità competente che attesti che le norme siano rispettate.

La legislazione italiana2 definisce che il sangue prelevato può essere portato all’estero e consegnato a biobanche previa richiesta di autorizzazione all’esportazione fatta alla Regione competente (il rilascio del documento è a pagamento).

L’Istituto Superiore di Sanità, tramite il Centro Nazionale dei Trapianti, ha confermato la possibilità di far rientrare in Italia il sangue conservato all’estero. Il Centro Nazionale dei Trapianti, interrogato dall’Autorità garante del mercato e della concorrenza, ha risposto che per fini terapeutici l’utilizzo del campione di sangue estratto da parte di un Centro di Trapianti non può essere escluso, a patto che i campioni conservati all’estero rispettino i requisiti di legge.

Affermare che le strutture pubbliche italiane non hanno fiducia nelle biobanche estere (accreditate da una nazione appartenente all’UE), vuol dire dubitare di uno dei principi più importanti del mercato europeo: gli stati membri dell’Unione Europea riconoscono reciprocamente le autorizzazioni e le certificazioni che sono state fornite dalle autorità pubbliche di un altro Stato appartenente all’UE.

È quindi assolutamente legale richiamare in Italia i campioni di sangue cordonale esportati con una precisa autorizzazione della Regione, mediante le Direzioni Sanitarie competenti, e dopo aver pagato una tariffa.

Per maggiori informazioni: www.sorgente.com

 

Note

1. Direttive 2004/23/CE e 2006/17/CE
2. Decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 191 ("d.lgs. 191/2007") e dal decreto legislativo 25 gennaio 2010, n. 16 in attuazione delle direttive 2004/23/CE e 2006/17/CE.