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Fattore Rh negativo in gravidanza: cosa può comportare?

Fattore Rh negativo in gravidanza: cosa può comportare?

Fattore Rh negativo in gravidanza: cosa può comportare?

A cura di: Ufficio stampa Sorgente Genetica

Durante la gravidanza è importante che la mamma si prenda cura della propria salute e di quella del futuro nascituro. Per questo, negli ultimi anni, si sono delineati dei percorsi di screening prenatale che prevedono che la donna effettui una serie di esami (come ad esempio il test del DNA fetale) in diversi momenti della gravidanza. Grazie a questi test è possibile monitorare lo stato di salute di mamma e feto e rilevare la presenza di condizioni potenzialmente pericolose per il bambino.

Una di queste è legata all’incompatibilità Rh tra mamma e feto, determinata quando una madre Rh- sviluppa una reazione immunitaria contro i globuli rossi del feto.

Il fattore Rh si definisce positivo o negativo in base alla presenza o assenza dell’antigene D sulla superficie dei globuli rossi. Nel caso in cui il sangue della gestante Rh- entri in contatto con quello del feto Rh+, il sistema immunitario della donna si attiva alla presenza dell’antigene D e inizia a produrre degli anticorpi contro i globuli rossi del feto. Questa reazione immunitaria può portare allo sviluppo di una malattia emolitico-fetale che potrebbe causare la morte del feto in utero o del neonato1,2. Questa malattia ha gravità variabile, in base alla risposta del sistema immunitario della donna. Il sangue della donna e quello del feto potrebbero entrare in contatto e scatenare la reazione della madre in diversi momenti, come ad esempio durante i test di diagnosi prenatale invasivi (come amniocentesi o villocentesi), emorragia, aborto, gravidanza ectopica, traumi addominali.

Nel corso degli anni è stato sviluppato un sistema di immunoprofilassi che permette di minimizzare i rischi determinati dall’incompatibilità tra il sangue di madre e feto. Questo trattamento, chiamato immunoprofilassi anti-D, consiste nella somministrazione alla donna, tramite iniezione, di immunoglobuline umane anti-D. Le immunoglobuline permettono di prevenire la formazione di anticorpi immunizzanti che possono attaccare le cellule del sangue del feto. Le gestanti Rh- possono sottoporsi a tali trattamenti sia prima sia dopo il parto, a seconda dei casi.

È stato stimato che nel 10% delle gravidanze sia presente un’incompatibilità Rh fra mamma e feto3. Sottoporsi ad adeguati controlli medici prima della gravidanza permette di valutare i gruppi sanguigni della coppia in cerca di un figlio e valutare il rischio. Inoltre sottoporsi ed esami di screening prenatale non invasivi durante la gravidanza è fondamentale per rilevare precocemente una possibile incompatibilità e decidere se intervenire con l’immunoprofilassi.

Nell’ambito del percorso di screening prenatale si effettua, entro la 16a settimana di gravidanza, il test di Coombs indiretto, che permette di individuare eventuali anticorpi anti-D nel sangue materno. Alle donne Rh- che hanno un partner Rh+, sarà chiesto di ripetere il test ogni mese nel corso della gestazione. Gli specialisti potrebbero consigliare anche di eseguire l’immunoprofilassi anti-D già alla 28a settimana di gravidanza, nel caso in cui queste pazienti abbiano effettuato esami di diagnosi prenatale invasiva o se hanno già portato a termine una gravidanza.

Consultando il proprio ginecologo è possibile pianificare un percorso di screening prenatale personalizzato con test specifici per evitare di correre rischi per sé stesse e per il bambino.

Per scoprire di più sui test prenatali non invasivi di analisi del DNA fetale visita il sito www.testprenataleaurora.it

Fonti:

  1. Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche – Antonio L. Borrelli, Domenico Arduini, Antonio Cardone, Valerio Ventrut
  2. La compatibilità di gruppo materno-fetale – di L. Brondelli, G. Simonazzi, N. Rizzo
  3. Gravidanza fisiologica, linea guida 20 – a cura del Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità,CeVEAS

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Fattore Rh negativo in gravidanza: cosa può comportare?

A cura di: Ufficio stampa Sorgente Genetica

Durante la gravidanza è importante che la mamma si prenda cura della propria salute e di quella del futuro nascituro. Per questo, negli ultimi anni, si sono delineati dei percorsi di screening prenatale che prevedono che la donna effettui una serie di esami (come ad esempio il test del DNA fetale) in diversi momenti della gravidanza. Grazie a questi test è possibile monitorare lo stato di salute di mamma e feto e rilevare la presenza di condizioni potenzialmente pericolose per il bambino.

Una di queste è legata all’incompatibilità Rh tra mamma e feto, determinata quando una madre Rh- sviluppa una reazione immunitaria contro i globuli rossi del feto.

Il fattore Rh si definisce positivo o negativo in base alla presenza o assenza dell’antigene D sulla superficie dei globuli rossi. Nel caso in cui il sangue della gestante Rh- entri in contatto con quello del feto Rh+, il sistema immunitario della donna si attiva alla presenza dell’antigene D e inizia a produrre degli anticorpi contro i globuli rossi del feto. Questa reazione immunitaria può portare allo sviluppo di una malattia emolitico-fetale che potrebbe causare la morte del feto in utero o del neonato1,2. Questa malattia ha gravità variabile, in base alla risposta del sistema immunitario della donna. Il sangue della donna e quello del feto potrebbero entrare in contatto e scatenare la reazione della madre in diversi momenti, come ad esempio durante i test di diagnosi prenatale invasivi (come amniocentesi o villocentesi), emorragia, aborto, gravidanza ectopica, traumi addominali.

Nel corso degli anni è stato sviluppato un sistema di immunoprofilassi che permette di minimizzare i rischi determinati dall’incompatibilità tra il sangue di madre e feto. Questo trattamento, chiamato immunoprofilassi anti-D, consiste nella somministrazione alla donna, tramite iniezione, di immunoglobuline umane anti-D. Le immunoglobuline permettono di prevenire la formazione di anticorpi immunizzanti che possono attaccare le cellule del sangue del feto. Le gestanti Rh- possono sottoporsi a tali trattamenti sia prima sia dopo il parto, a seconda dei casi.

È stato stimato che nel 10% delle gravidanze sia presente un’incompatibilità Rh fra mamma e feto3. Sottoporsi ad adeguati controlli medici prima della gravidanza permette di valutare i gruppi sanguigni della coppia in cerca di un figlio e valutare il rischio. Inoltre sottoporsi ed esami di screening prenatale non invasivi durante la gravidanza è fondamentale per rilevare precocemente una possibile incompatibilità e decidere se intervenire con l’immunoprofilassi.

Nell’ambito del percorso di screening prenatale si effettua, entro la 16a settimana di gravidanza, il test di Coombs indiretto, che permette di individuare eventuali anticorpi anti-D nel sangue materno. Alle donne Rh- che hanno un partner Rh+, sarà chiesto di ripetere il test ogni mese nel corso della gestazione. Gli specialisti potrebbero consigliare anche di eseguire l’immunoprofilassi anti-D già alla 28a settimana di gravidanza, nel caso in cui queste pazienti abbiano effettuato esami di diagnosi prenatale invasiva o se hanno già portato a termine una gravidanza.

Consultando il proprio ginecologo è possibile pianificare un percorso di screening prenatale personalizzato con test specifici per evitare di correre rischi per sé stesse e per il bambino.

Per scoprire di più sui test prenatali non invasivi di analisi del DNA fetale visita il sito www.testprenataleaurora.it

Fonti:

  1. Medicina dell’età prenatale: Prevenzione, diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche – Antonio L. Borrelli, Domenico Arduini, Antonio Cardone, Valerio Ventrut
  2. La compatibilità di gruppo materno-fetale – di L. Brondelli, G. Simonazzi, N. Rizzo
  3. Gravidanza fisiologica, linea guida 20 – a cura del Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità,CeVEAS

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