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I disobbedienti

Vi sottopongo questa piccola ricerca,condotta da Sonia Cecchin che parla e spiega la disobbedienza in modo semplice (Marco V. Masoni  www.formazione-studio.it )

Buona riflessione!

“IL DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO”

 

Secondo il  DSM V(Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders),i criteri del disturbo oppositivo provocatorio sono stati riorganizzati in tre distinte categorie:

  • umore rabbioso/irritabile,
  • comportamento ostinato/oppositivo
  • comportamento vendicativo

Bene… Non posso fare a meno di chiedermi se, nella mia  carriera di insegnante, io abbia incontrato questi ragazzi, se sono gli stessi che noi da sempre abbiamo definito come  monelli, teste dure, ostinati, polemici, provocatori, disobbedienti, ecc. ecc.

Ben inteso non voglio semplificare o sminuire quella che, in un testo autorevole e accredidato, viene definita una  patologia che richiede cure specifiche psicoterapiche e anche farmacologiche nei casi più gravi. Ho personalmente sperimentato  che alcuni ragazzi che ho conosciuto, (sembra che l’incidenza dei casi si registri più nel sesso maschile)  ridimensionino il loro” disturbo” nel momento in cui si introduce un cambiamento nel modo di gestire la relazione educativa. Probabilmente ciò è stato possibile perché ho avuto a che fare con casi non troppo “gravi”. La soluzione da mettere in atto sembrerebbe semplice, ma nella pratica non lo è, richiede allenamento e non solo. Io mi sono allenata molto fin da quando, a 19 anni, ho iniziato ad insegnare in una scuola elementare del quartiere Comasina di Milano. A quei tempi tornavo a casa spesso in preda allo sconforto. Mi avevano assegnato una supplenza annuale in una  quarta elementare; sulla porta della classe c’era scritto in una grafia stentata:” Noi siamo la classe che manda via tutte le supplenti”! Era vero, ci erano riusciti, io ero la terza nel giro di 10 giorni. Ci misi circa un mese a stabilire quello che oggi viene chiamato “setting d’aula”!!! Ricordo il momento: fu quando il leader indiscusso della classe (un ripetente di 12 anni) disse:”Silenzio!Parla la Sonia!” Non avevo allora alcuna esperienza né alcuna “teoria di riferimento”, mi supportava solo un diploma di Istituto Magistrale una grande motivazione a fare questo mestiere. Oggi insegno in un Liceo, non so se alcuni ragazzi/ ragazze con cui ho avuto e ho a che fare si possono definire affetti da un lieve o significativo disturbo oppositivo provocatorio che si manifesta nelle sue diverse declinazioni, so però che è possibile “guarire”o per lo meno i “sintomi”, in ambito scolastico, possono essere fortemente attenuati. I diversi contesti di relazione  possono farli insorgere, contenere o , in alcuni casi, li possono far scomparire.

Non credo di aver titolo per  indicare “la terapia…”. Dai commenti dei ragazzi è facilmente intuibile cosa occorre fare… Beh certo io un’idea un po’ me la sono fatta in quasi 30 anni di insegnamento!!!

Però visto che quando non si è sicuri di una cosa su qualcuno/qualcosa è sempre meglio chiedere, ho intervistato circa 80  ragazzi e ragazze sul tema della disobbedienza/obbedienza.

Ho registrato le risposte e le affermazioni più ricorrenti condivise dal mio campione.

Il tema del rispetto, della dignità, dell’attribuzione di senso, di significato, della modalità/stile di relazione e di leadership sembrano essere le variabili più significative.

Niente di particolarmente nuovo. Per me la conferma della validità e dell’efficacia di un approccio che pratico quotidianamente, che ho imparato ad applicare e ad affinare non senza qualche difficoltà e qualche insuccesso!

Ecco cosa ne pensano gli studenti.

 Io obbedisco più facilmente se..

  • Me lo chiedono in modo gentile ed educato.
  • Non mi fanno sentire uno stupido.
  • Se chi me lo ordina è una persona di cui ho stima e rispetto, se è così faccio anche cose che non mi piacciono.
  • Se quello che mi ordinano lo capisco.
  • Se ha un senso per me.
  • Se a chi ordina gli ho visto fare quella cosa. Se mi dà l’esempio.
  • Se ho scelto di obbedirgli.
  • Se non usano il tono dell’ordine e non gridano.
  • Se non mi fanno sentire un bambinetto.
  • Se mio padre mi guarda in un determinato modo…quando è così è meglio che obbedisca!
  • Se vado “giù” ( in vacanza al Sud) ho notato che si obbedisce di più. Lì non si discute, si obbedisce e basta.

Le persone che chiedono obbedienza devono essere: 

  • democratiche,carismatiche ,empatiche
  • Se sono prof. devono anche trasmettere passione e competenza.
  • Per esempio noi a lei obbediamo perché…Perché non so è diversa dagli altri, ha uno stile…strano e poi ci ascolta. A volte sembra che lei entri nelle nostre teste, sa già quello che pensiamo. Non so lei.. Lei va un po’ contromano!!!

Ho disobbedito quella volta che…

  • Ho sentito che voleva proprio impormelo!
  • Ho sentito come un malessere era proprio ingiusto.
  • Non teneva conto del mio bisogno, c’era solo il suo…
  • C’erano troppe regole da rispettare.
  • Mi stava proprio antipatico, soprattutto il suo tono.
  • Non capivo il perché, mi sembrava così assurdo, insensato.
  • Una sera mio papà mi ha detto di caricare la lavastoviglie perché mia madre era stanca. Se fosse stato per mia madre l’avrei anche fatto. Siccome me lo ha detto mio padre che stava “spaparazzato” sul divano, ho detto di no. Quando vedrò anche lui caricare la lavastoviglie lo farò…
  • Avevo bisogno di andare in bagno e siccome con la Prof. X non dobbiamo chiedere il permesso perché interrompiamo la lezione, ho fatto così anche con la Prof. Y. Lei si è arrabbiata e ha detto che io sono tenuto a chiederle il permesso. Gli ho risposto che mi pareva assurdo chiedere il permesso per andare in bagno se uno ne ha bisogno. La prof. mi ha messo una nota!
  • Io obbedisco al mio allenatore perché c’è una ragione. Lui mi deve preparare ed è più competente di me.
  • Se dovessi per assurdo arruolarmi in un esercito certo che obbedirei, sta nei patti.
  • Io obbedisco e ascolto le persone che per me sono dei modelli di riferimento.
  • Non volevo andare al primo banco come mi aveva detto il Prof., mi sono sentito giudicato come uno che è disattento, ma non era vero! Così gli ho detto quello che pensavo, che mi sembrava una richiesta assurda e inutile. Mi ha detto di non fare lo strafottente, anch’io gli ho detto di non farlo con me. Poi sono andato al primo banco e mi sono pure preso una nota perché ero stato offensivo e maleducato. Ma se me lo avesse chiesto in modo diverso io non avrei fatto così, mi sono innervosito.
  • Quando continuano a dirmi cosa devo fare, va a finire che non faccio niente.
  • Una volta mia madre mi ha detto di mettere a posto la stanza e io,  visto che era davvero incasinata, mi sono messa a farlo. Mentre lo facevo è entrata e ha detto:” Non studi?” Ho smesso di riordinare e non ho nemmeno studiato!

Sonia Cecchin

L’ansia nei bambini: ossessioni e rituali

L’ansia nei bambini a volte può manifestarsi in forme molto particolari che possono mettere i genitori alla prova nel capire la differenza tra normalità e disturbo.

Cosa è l’ansia

Vorrei cominciare specificando che l’ansia è in generale una sorta di silenzioso malessere e la maggior parte delle persone che ne soffre tende a nasconderla.

Nei bambini può esprimersi con sintomi diffusi o specifici, può essere proiettata sulle relazioni sociali, può avere come oggetto il corpo oppure la mente e i suoi pensieri reali o irrazionali.
Sai bene che è impegnativo essere genitore di un bambino ansioso proprio perché a volte non sei  in grado di capire quale sia l’origine del suo timore.

Il bambino percepisce una sensazione di pericolo imminente che minaccia il suo stato di benessere.

Come di manifesta l’ansia nei bambini piccoli

Nei bambini piccoli l’ansia può presentarsi con:

  • disturbi dell’alimentazione
  • disturbi del sonno
  • irritabilità e agitazione
  • difficoltà a separarsi dal genitore.

Sono bambini che tendono ad essere poco esplorativi nel gioco e possono assumere dei comportamenti controllanti.

Come di manifesta l’ansia nei bambini in età scolare

In età scolare l’ansia comporta anche:

  • difficoltà di concentrazione,
  • affaticabilità
  • preoccupazione del giudizio degli altri
  • perfezionismo
  • comportamenti compulsivi
  • lamentele somatiche.

In questa fase possono essere presenti anche sentimenti depressivi che insieme all’ansia influenzano l apprendimento.

In generale il bambino che soffre di ansia si sente insicuro riguardo alla proprie capacità, è molto diffidente e ha paura di essere sopraffatto dalle proprie emozioni.

Ma affrontiamo adesso l’argomento dell’articolo.

Quando l’ansia trasforma i rituali dei bambini in ossessioni

Forse ti sei chiesto molte volte perché tuo figlio non esce di casa se non ha  spento e riacceso l’interruttore un numero preciso di volte, oppure perché ogni volta che rientra in casa si lava ripetutamente le mani e mostra un’eccessiva preoccupazione dello sporco, oppure perché evita di toccare i giochi degli altri bambini o di andare a casa di questi ultimi, oppure perché riordina e ricontrolla le sue cose in maniera ossessiva come un rituale fino a che gli oggetti non sono posizionati  in modo “giusto”; ecc.

In una certa misura i comportamenti ossessivi sono normali nei bambini (come non calpestare le righe, contare tutti gli scalini, le mattonelle, ecc.);  quando però questi comportamenti diventano molto invasivi e fastidiosi tali da bloccare lo svolgimento delle azioni quotidiane o un rallentamento delle stesse, bisogna considerarli da un’altra prospettiva.

Questi bambini infatti trascorrono molto tempo in attività che richiederebbero normalmente pochi minuti.

Sono in qualche modo “intrappolati” in queste idee ossessive:

  • contaminazione
  • ordine
  • controllo
  • accumulo
  • superstizione

che si intromettono in maniera indesiderata e senza apparente motivazione contro la volontà del bambino. Sono accompagnati da un sentimento d’ansia (indotto dal contenuto dell’ossessione stessa).

I comportamenti ripetitivi (ad es. lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni mentali (ad es. contare, ripetere parole mentalmente, ecc.) sono messi in atto dal bambino quasi in modo obbligato in risposta ad un’ossessione, a prevenire l’ansia o il disagio o prevenire alcuni eventi o situazioni temuti.

Va da sé che “questi comportamenti o azioni mentali non sono collegati in modo realistico con ciò che sono designati a neutralizzare o a prevenire, sono chiaramente eccessivi.” (APA, DSM-5)
I bambini piccoli possono non essere in grado di articolare le ragioni di questi comportamenti manifestando una scarsa consapevolezza.

Quando le ossessioni e i rituali compulsivi causano un disagio clinicamente significativo e una compromissione del funzionamento in ambito sociale o in altre aree importanti, quando i membri della famiglia involontariamente assecondano la sintomatologia diventando parte dei rituali, possiamo parlare di un disturbo ossessivo compulsivo meglio conosciuto con l’acronimo DOC.

Nella maggior parte dei casi coinvolge in numero maggiore i maschietti e può manifestarsi in compresenza di un disturbo da deficit di attenzione/iperattività e/o disturbi dell’apprendimento.

Suggerimenti per genitori

Alcuni suggerimenti per i genitori:

  • È importante non etichettare il bambino come uno che fa “cose strane”
  • Non assecondare il bambino nel rituale
  • Non minimizzare il problema ma consultare uno specialista quando i  comportamenti si manifestano con una frequenza tale da invalidare e limitare il bambino e la famiglia nelle attività di vita quotidiana.
  • Evitare di negare ma parlare del doc come di qualcosa esterno a lui che lo spinge a fare le cose, magari dandogli anche un nome buffo come “brainbug” , baco della mente!

 

 

di Enrica Ciullo

fonte: www.forepsy.it

Bambini sicuri in auto: le giuste regole da tenere

Bambini sicuri in auto: le giuste regole da tenere

Ormai sono sempre di più i bambini che viaggiano a bordo di automobili in maniera non protetta. Le norme di sicurezza vengono accolte più come noiose pratiche che come effettivi modi di proteggere la vita dei propri figli o dei propri nipoti e spesso vengono messe in secondo piano, proprio a discapito di quella stessa vita. Eppure, basterebbero poche e semplici accortezze per essere sicuri di viaggiare in sicurezza e arginare al massimo qualsiasi tipo di pericolo.

A tal proposito, l’art.172 del Codice della Strada prevede l’uso di dispositivi di ritenuta per bambini, assolutamente essenziale non solo in caso d’incidente, ma anche in caso di improvvisi cambi di marcia o di velocità. Bisogna sempre ricordarsi, infatti, che i bambini non sono adulti in miniatura e che non solo il loro peso è nettamente inferiore e più soggetto a sballottamenti e sbilanciamenti, ma la loro ossatura è più fragile e la loro prontezza di riflessi non è responsabile e consapevole come quella di un adulto che sa quello che sta succedendo.

Tant’è che il codice stradale prevede che i bambini di altezza inferiore ai 150 cm e peso inferiore ai 36 Kg possono viaggiare a bordo di un’automobile solo se assicurati ad un adeguato sistema di ritenuta, vale a dire un seggiolino omologato, oppure una cintura di sicurezza con adattatore per bambini. E i costi non sono da temere. Su internet è possibile trovare su e-commerce specializzati seggiolini e adattatori per cinture di sicurezza usati a prezzi ridotti. Ci raccomandiamo sempre, ovviamente, di stare molto attenti a ciò che si acquista, sia a livello di automobile e le sue condizioni a livello di sicurezza, sia a livello di altri dispositivi, specialmente quando ci sono di mezzo dei bambini che non possono rispondere di loro stessi e controllare di persona ciò su cui stanno viaggiando.

L’omologazione è dunque fondamentale. Anche quando decidete di comprare un’automobile usata in zona, a Brescia e dintorni quindi, è sempre meglio prima informarsi su siti specializzati nella vendita di auto usate o a km0, dove poter trovare tutte le descrizioni tecniche necessarie; prestate quindi sempre attenzione che l’auto sia adatta al trasporto di bambini e che disponga di tutte le norme di sicurezza e di tutte le possibilità per l’utilizzo di un seggiolino da viaggio. Tale seggiolino da viaggio cambia e “cresce” con il proprio bambino. Ci sono cinquediversi tipi di seggiolini, partendo dal Gruppo 0 fino ad arrivare al Gruppo 3, per coprire tutte le età dai 0 ai 10 e tutti i pesi dai 0 ai 36 Kg. Dunque, è bene scegliere il seggiolino più adatto al proprio bambino. A differenza di molte altre cose che tendono ad essere acquistate “in crescita”, il seggiolino deve rispettare le misure nella maniera più precisa, oppure smetterebbe di essere sicuro.

Nel caso di neonati molto piccoli, se non volete acquistare una culla omologata per la macchina, allora un riduttore andrà benissimo, che, adattandosi alle dimensioni del bimbo, gli permetterà di acquisire la posizione corretta senza essere scomodo o non al sicuro. Questo è vero soprattutto per la testa, punto maggiormente vulnerabile nei bambini. Anche questo può essere acquistato di serie con il seggiolino, oppure separatamente, anche usato. Ma come si può sapere, soprattutto al momento dell’acquisto di un seggiolino usato, se l’omologazione è sicura? Basta controllare che ci sia un’etichetta che abbia su scritta la sigla dell’ultima omologazione: ECE R 44/03. Sulla stessa etichetta dovrà inoltre essere riportata la categoria di peso del bambino e la parola “Universal”, che sta ad indicare che quel seggiolino è adatto a qualsiasi tipo di auto. Se così non fosse, assicuratevi che vada bene per la vostra. Ultimo ma non meno importante, deve essere riportato il numero d’omologazione e il codice della nazione che ha rilasciato il certificato di omologazione, che è E3 per l’Italia e che appunto varia da nazione a nazione.

Assicuratevi che le fibbie di sicurezza siano robuste e non usurate, ma senza essere eccessivamente grosse o dure. Si consiglia inoltre l’acquisto di un seggiolino sfoderabile, così che possa essere lavato facilmente e garantire al bambino igiene e comfort durante i suoi viaggi.

Susanna

Claudia Astolfi

Giocare con la sabbia: un’esperienza per il corpo e la mente

Ricordate la prima volta che avete giocato con la sabbia?

E quali sensazioni vi provocava?

E’ iniziato così il workshop, Giocare con la sabbia, che si è tenuto a Brescia il 17 Gennaio, organizzato dall’Associazione EMMI’S CARE e condotto da Francesca Romana Grasso,EDUFROG.

Il gruppo di partecipanti composto da educatrici, insegnanti, coordinatrici di asili nido e psicomotriciste, è stato guidato in un percorso dove ha potuto vivere in prima persona esperienze di gioco con la sabbia e momenti di confronto con il gruppo, affrontando tutti gli aspetti caratteristici del gioco con la sabbia: il corpo e l’emozione, lo spazio e i materiali.

Attraverso il gioco con la sabbia i bambini ritrovano una lentezza e un’attenzione verso il piacere, che accompagna tutti i movimenti del corpo, sostenendo la varietà di macro e micro movimenti; i materiali di qualità, piacevoli da vedere e da utilizzare, offrono infinite azioni e possibili esperimenti al bambino, da vivere secondo la sua personale iniziativa e autonomamente.

L’hanno vissuto in prima persona le partecipanti al workshop, affondando le mani nella sabbia, contenuta in bellissime ceste, rivestite da morbido tessuto di cotone.

Ognuna ha potuto prendersi del tempo per osservare la sabbia che scendeva da un setaccio in acciaio, per riempire contenitori di vetro con piccoli cucchiaini antichi, per disegnare con le mani nelle sabbia o con una conchiglia: azioni e giochi infiniti.

Alcune spontaneamente hanno giocato occupando un certo spazio, con alcuni materiali, senza invadere l’altro, altre hanno giocato condividendo esperienze, idee e azioni.

L’esperienza con la sabbia offre al bambino la possibilità di fare un numero incredibilmente vario di esperienze logiche, matematiche, fisiche ed emotive che rappresentano una forma di apprendimento primordiale, sostenuta dal piacere dell’azione, favorisce la ibera espressione del bambino, la sua intenzionalità e volontà, sostenendo la costruzione della fiducia in sé.

Il ruolo dell’adulto è essenziale: non deve intervenire o interrompere l’attività del bambino, ma allestire con attenzione e cura l’ambiente, scegliendo materiali di qualità e offrendo il tempo necessario a ogni bambino. Principi, che grazie all’esperienza diretta con il gioco con la sabbia, hanno mosso all’interno del gruppo di partecipanti al workshop, alcune riflessioni sull’importanza che il linguaggio ha in ogni cosa che facciamo, in ogni luogo o situazione, con ogni persona; l’adulto deve scegliere con attenzione le parole da utilizzare per raccontare ciò che osserva di un bambino, cogliendo in modo oggettivo e per nulla giudicante ciò che vede.

Un’altra grande riflessione emersa grazie ai vissuti delle partecipanti, riguarda il modo dell’adulto di osservare e cogliere le azioni-emozioni dei bambini: domandarsi “Chi è?” questo bambino “Cosa sta facendo??”…anzichè “Che cosa voglio fargli fare??” o “ Cosa vorrebbe fare?”, favorisce una lettura obbiettiva, positiva e attenta dell’espressione del bambino, della sua personale storia.

Gli adulti dovrebbero sempre accogliere empaticamente le azioni dei bambini, senza interpretarne l’intenzionalità, o intervenendo, ostacolando lo spazio e i tempi necessari per esperienze piacevoli.

Francesca, conduttrice del work shop, nel pomeriggio di sabato, ha proposto alle partecipanti l’importante contributo della pediatra Emmi Pikler in merito allo sviluppo motorio spontaneo del bambino e il prezioso lavoro di Ute Strub sul gioco con la sabbia, un momento formativo, ma anche di riflessione e che ha acceso alcune domande:

esistono momenti in cui il bambino è libero di scegliere quale attività vivere?

l’adulto concede il tempo necessario, senza interrompere il bambino?

Gli ambienti famigliari ed educativi offrono spazi e materiali adatti alle fasi di sviluppo del bambino?

Per quali motivi sono scomparsi gli spazi dedicati al gioco con la sabbia, nei parchi, nei nidi, nelle scuole primarie e nei giardini di casa, così presenti , anche nel nostro paese, fino a pochi anni fa?

 

Alice Gregori

Psicomotricista

Associazione Emmi’s care

 

Il work shop sarà proposto nuovamente a Brescia, con un percorso di incontri di approfondimento, ricordiamo inoltre che è possibile richiedere una proposta formativa personalizzata, in loco, per equipe educative.

Conduttrice: Francesca Romana Grasso, pedagogista e dottore di ricerca in scienze dell’educazione (Edufrog) info@edufrog.it

Organizzazione: Associazione Emmi’s care info@emmiscare.org

 

Per continuare la riflessione, approfondimenti sono disponibili in questo articolo: Giocare con la sabbia, rispettare e nominare il libero movimento

 

Riflessioni proposte dalle esperte di  Edufrog e l’Associazione Emmi’s care che hanno deciso di raccogliere in questo breve articolo alcuni dei momenti del work shop proposto a Brescia lo scorso 17 Gennaio. Sperando che possa essere un momento di riflessione per tutti, l’articolo solleva tematiche importanti per chiunque si prenda cura della persona e per i professionisti che mirano ad un’educazione basata sull’accoglienza, il rispetto e la cooperazione.

 

Psicomotricità: una risorsa in situazioni di difficoltà

Continua il percorso alla scoperta della psicomotrictà curato dalle nostre esperte di Emmi’sCare

 

PSICOMOTRICITA’: UNA RISORSA IN SITUAZIONI DI DIFFICOLTA’

Vi abbiamo già brevemente descritto, nel nostro primo articolo, la storia della nascita della psicomotricità, da sempre impiegata a sostegno di disagi e patologie psicomotorie, prima più fisiche e poi di origine psicologica o relazionale.

Oggi, l’aiuto psicomotorio è proposto come percorso di accompagnamento per la crescita, a bambini che manifestano lievi disagi psicomotori o che presentano sindromi o patologie psicomotorie.

Molto spesso l’aiuto psicomotorio è attivato parallelamente ad altri interventi, che possono essere di tipo logopedico, fisioterapico o psicoterapeutico; ogni professionista si occupa di accompagnare, sostenere e favorire lo sviluppo del bambino, secondo le proprie specifiche competenze, collaborando e condividendo con gli altri specialisti osservazioni e informazioni.

Lo psicomotricista, prima della presa in carico del bambino, organizzerà dei brevi colloqui con i genitori, a volte anche con altri familiari, se si prendono cura del bambino, durante la loro assenza.

Grazie alle informazioni raccolte e attraverso alcune sedute osservative, lo psicomotricista individua l’intervento più idoneo per il bambino, costruendo un progetto che possa sostenere il suo sviluppo, tenendo sempre conto delle sue capacità e del suo livello di sviluppo globale.

Secondo l’evoluzione personale di ogni bambino e attraverso continue osservazioni di seduta in seduta, lo psicomotricista potrà monitorare il percorso di ogni bambino e, se necessario, avrà i dati necessari per individuare i campi su cui agire maggiormente.

La seduta è della durata di un’ora, e si svolge una o due volte la settimana, secondo il caso.

Non esiste una tempistica specifica o standard per la durata di un intervento psicomotorio, variano secondo il disagio che il bambino presenta, dai suoi tempi, dai suoi bisogni; solitamente hanno una durata minima di sei mesi per lievi disagi psicomotori, fino ad accompagnare per anni lo sviluppo di bambini con sindromi o patologie più complesse.

Sarà lo psicomotricista, insieme ai genitori e altri eventuali professionisti che seguono il caso, a stabilire il termine dell’intervento.

La pratica psicomotoria, può rappresentare un valido sostegno per accompagnare lo sviluppo di ogni bambino. A maggior ragione in situazioni di difficoltà, accogliendo il bambino nella sua globalità e utilizzando canali di comunicazione alternativi per interagire con esso, si occupa di tutto ciò che lo riguarda: della sua mente, del suo corpo, della sua capacità di relazionarsi con se stesso o con l’altro; più di tutto, si preoccupa di prestare attenzione alle capacità che il bambino ha, di ciò che sa fare, di ciò che ha già dentro di se e che può esprimere.

Nelle disabilità che colpiscono maggiormente l’ambito motorio, condizionando movimento e attività, anche il più impercettibile movimento diventa occasione per lo psicomotricista di accogliere l’intenzionalità del bambino e i suoi bisogni questo permetterà una comunicazione efficace all’interno della loro relazione di fiducia.

La pratica psicomotoria, in situazioni di difficoltà agisce permettendo al bambino di prendersi tempo, di conoscere le proprie capacità e i propri limiti in un ambiente adatto a lui: sicuro, dove non esiste giudizio, ma la possibilità di comunicare, di relazionarsi secondo i suoi modi e di costruire la fiducia in sé stesso, indispensabile per affrontare il suo personale percorso di crescita.

 

Sara Ricchini

Alice Gregori

Associazione EMMI’S CARE

info@emmiscare.org

www.emmiscare.org

030/7777172

Si conclude qui, questo breve ciclo di tre articoli dedicati alla psicomotricità, curati dall’equipe dell’Associazione EMMI’S CARE, che ringrazia Bresciabimbi e tutte le persone che ci seguono.

Sbuccia e Puntino: cartoni per avvicinare i bambini all’arte

ARRIVANO SU WEB GRATUITI PER TUTTI I MINI CARTONI ANIMATI DI SBUCCIA E PUNTINO PER AVVICINARE I BAMBINI ALL’ARTE

Dall’omonima collana di libri per bambini di Francesca Pascale nasce una web serie animata per unire bambini e genitori nella scoperta dei più importanti personaggi dell’arte pittorica.

E’ online e a disposizione in forma gratuita per tutti i bambini e genitori il primo episodio del cartone animato “Le avventure di Sbuccia e Puntino”un nuovo progetto didattico sull’arte

pittorica dedicato ai bambini tra i 6 e i 12 anni d’età.

Il progetto nasce dal successo riscontrato dall’omonima collana di libri, edita da Idea Books, di cui è autrice e disegnatrice Francesca Pascale, esperta di didattica museale e ideatrice di un metodo brevettato per insegnare l’arte alla scuola materna.

 Le avventure di Sbuccia e Puntino sono uno strumento didattico divertente a disposizione dei genitori per avvicinare i bambini all’arte incuriosendoli attraverso il gioco. Una storia dell’arte a misura di bambino capace di presentare i principali autori e opere in modo semplice e stimolante. La durata dei video è stata studiata per rispettare la soglia di attenzione dei bambini su Internet. Ogni storia dura massimo due minuti e introduce il bambino nel magico mondo di Sbuccia e Puntino e delle loro avventure.

 La trama dei video riprende quella dei libri della collana nei quali viene approfondita e arricchita di esercizi e giochi. I due protagonisti sono Puntino, un bambino di sette anni e Sbuccia il suo inseparabile zainetto di pelucheQuando Puntino si avvicina troppo a un quadro ne viene attirato dentro come per magia, ritrovandosi nell’epoca storica in cui è stato realizzato. Puntino è sempre accompagnato da Sbuccia che durante la magia prende vita e si trasforma in una scimmietta parlante.

Guarda i video: 

 

www.artevistacosi.org

Psicomotricità: muoversi per crescere

E’ con grandissima gioia che pubblico questo primo articolo di Alice Gregori.

La famiglia di esperti di Bresciabimbi.it si allarga accogliendo una nuova figura: la psicomotricista.

Alice Gregori e lo staff di Emmi’s care sono ora a disposizione di Bresciabimbi per accogliere le vostre richieste e fornirvi sostegno.

I contatti dell’associazione sono : www.emmiscare.org    info@emmiscare.org

PSICOMOTRICITA’: MUOVERSI PER CRESCERE.

 

Non è raro sentir parlare di psicomotricità: educatrici, insegnanti, genitori interessati, questo articolo nasce dal desiderio di raccontare cos’è la psicomotricità e perché rappresenta un valido approccio per sostenere lo sviluppo del bambino.

Si tratta di una disciplina nata nei primi anni del 900′ in Francia, ma diffusa solo negli anni 70’, grazie al contributo di B.Aucouturier che la rese la pratica psicomotoria arrivata anche in Italia.

Per poter ideare e condurre progetti di psicomotricità, lo psicomotricista deve seguire un percorso formativo triennale per la sua preparazione personale, teorica e pratica.

Sarà durante questa formazione che il professionista svilupperà le conoscenze sullo sviluppo del bambino e le sue capacità di osservazione e di empatia con l’altro.

Gli ambiti di applicazione della psicomotricità variano da quello preventivo ed educativo, con formazione o educazione psicomotoria, sino all’aiuto  psicomotorio individuale.

A seconda del progetto, delle caratteristiche del contesto e dei bambini, si svolgeranno sedute di psicomotricità  con piccoli gruppi, gruppi classe o con il singolo bambino.

Le sedute avvengono in un ambiente ben definito, con spazi e tempi pensati a seconda di ogni situazione.

La sala di psicomotricità, infatti, è uno spazio piacevole e accogliente, dove tempi, spazi e materiali sono pensati per accogliere, favorire e accompagnare lo sviluppo di ogni bambino e l’espressione di sé stesso.

La seduta ha sempre inizio con un breve rituale iniziale dove lo psicomotricista spiega ai bambini le fondamentali regole di “non farsi male, non fare male ad altri e di rispettare ed avere cura dei materiali”; infine descrive loro gli spazi allestiti e dà inizio alla seduta, invitando i bambini a disporsi su una linea parallela.

Al via dello psicomotricista i bambini, con una rincorsa, potranno correre a distruggere un muro di morbidi cubi colorati, che nascondono dietro un prezioso spazio morbido di materassi e cuscini.

La distruzione del muro, per il bambino rappresenta un’esplosione emotiva, un momento di liberazione per poi concedersi all’azione, alla relazione e al gioco.

Il bambino deve poter buttar fuori, per poi riempirsi di nuove esperienze, competenze ed emozioni.

L’area morbida, invece, rappresenta lo spazio di rassicurazione e contenimento, trasmette al bambino il piacere del contatto con il suo corpo e, durante la seduta, diviene lo spazio in cui può sprofondare, dove può scegliere di nascondersi per  poi trovare sé stesso; ciò è fondamentale perché il bambino, nei suoi primi anni di vita, ricerca il piacere del muoversi e prova piacere nel movimento. Questo spazio rappresenta la sua carica di piacere.

Nella sala di psicomotricità, contemporaneamente o a fasi successive, saranno proposti al bambino altri due fondamentali spazi.

Uno è il luogo dedicato al piacere senso-motorio, dove lo psicomotricista allestisce strutture per permettere al bambino di sperimentare il controllo del corpo, attraverso arrampicate o percorsi, e gli fanno vivere l’emozione del rilascio, con salti nel vuoto o scivolate.

Questo è lo spazio dove il bambino vive l’unione tra l’emozione e il piacere corporeo,  dove costruisce e apprende il proprio corpo attraverso l’azione motoria e l’emozione.

Un’altro spazio è quello simbolico che, invece, rappresenta lo spazio dove il bambino racconta ed esprime la propria storia, le proprie emozioni i propri piaceri e dispiaceri, attraverso il gioco del “far finta”.

 

Lo psicomotricista, per favorire l’espressione del bambino, metterà a sua disposizione materiali come teli, corde cuscini, per permettere la messa in scena  di luoghi e personaggi fantastici che esprimano il personale vissuto del bambino.

Ultima, ma non meno importante è la fase finale della seduta.

Il bambino in questo spazio torna attivo, non nel movimento, ma nella mente, sostenendo lo sviluppo del proprio pensiero.

Lo psicomotricista, in questa fase, offrirà al bambino la possibilità di rappresentare le sue emozioni provate nel movimento, attraverso il disegno, la manipolazione di materiali o attraverso la creazione di storie con immagini.

Per concludere la seduta lo psicomotricista saluterà il bambino, sottolineando le emozioni positive vissute insieme e ricordandogli quando si terrà il loro prossimo incontro.

La relazione sicura e di fiducia che si instaura tra lo psicomotricista e il bambino è indispensabile per favorire l’espressione psicomotoria dello stesso durante la seduta, mentre il setting della sala di psicomotricità permette allo psicomotricista di accoglierne la sua personale storia.

I progetti educativi di psicomotricità possono essere attivati presso scuole dell’infanzia, asili nido o scuole primarie, dove lo psicomotricista può creare ambienti ad hoc per il movimento libero, l’espressione corporea e la rappresentazione.

Inoltre, la psicomotricità permette di offrire momenti di formazione e riflessione a genitori, educatori e professionisti che si prendono cura dei bambini.

Sono psicomotricista e per me il movimento rappresenta la prima forma di espressione e di linguaggio di ogni individuo.

La psicomotricità rappresenta un momento di piacere e occasione di scoperta e di crescita per ogni bambino, ancor di più in questo periodo storico dove esistono sempre meno possibilità per loro  di muoversi secondo i propri tempi, in spazi sicuri, seguendo la loro personale iniziativa.

 

Alice Gregori

 

Cosa vogliono dire i disegni dei bambini

Grazie alla disponibilità e gentilezza del dott. Marco Vinicio Masoni pubblico il seguente articolo molto interessante sui disegni dei bambini

Cosa vogliono dire i disegni dei bambini

 Di Marco Vinicio Masoni

A volte le mamme mi portano i disegni dei loro figli. Vogliono una diagnosi. Vogliono che io assuma un’aria seria e che scruti attentamente i disegni (come hanno visto fare da altri “esperti”), e poi dica , per esempio: “Si vede, con estrema chiarezza, che qui il padre è assente”.

Ma l’unica cosa che riesco a pensare e a dire sono frasi di questo tipo: ”Bene, mi pare che suo figlio sia piuttosto dotato per il disegno”, oppure ”Certo, è un disegno infantile, quanti anni ha? …Quattro? Direi che è un disegno assolutamente adatto alla sua età”.

Ma la mamma insiste “Ma non vede che espressione ha questa faccia, e poi vede che c’è in alto un aereo che butta le bombe? Dottore , sono preoccupata…”
“Bene signora, – rispondo – ho disegnato più bombe io da bambino di quante ne abbiano sganciate nella seconda guerra mondiale, mi ritiene un serial killer?”
Finalmente la mamma sorride.
Ora, che i bambini vogliano dire qualcosa mentre disegnano è, io credo, assolutamente vero.
Non credo invece che il significato dei loro disegni vada al di là di quanto sta sul foglio, espresso in modo esplicito. Un aereo che sgancia le bombe è un aereo che sgancia le bombe e non “il segnale di un profondo disagio interiore, una aggressività che va fermata in tempo …”, ecc.
Spesso la comunicazione è diretta al pubblico presente in quel momento e a seconda della richiesta del pubblico o di quanto questo sia simpatico al il bambino, il contenuto e lo stile della comunicazione cambiano.
Qualche esempio?
Chiedo a un bambino di sei anni di disegnarmi una persona. Nel modo col quale faccio la richiesta sono presenti alcuni impliciti: voglio che tu faccia un bel disegno, un disegnino come si deve e come dovrebbe fare un bravo bambino, un disegno che mi faccia poi dire “Oh, che bella persona hai disegnato, bravo!”.

Il bambino mi scruta, prende il foglio, ci pensa un po’ su, attraversa qualche attimo di incertezza e poi disegna …questo:

disegno1

Osservo il disegno. Non sono tenero come “critico d’arte”. Il disegno è bruttino. Una specie di figurina fatta con lo stampino. Chissà quante ne ha fatte uguali e si è sentito dire “Ma guarda come è bravo, gli fa anche la cintura!”. Ne ricavo la netta impressione che il bambino abbia messo mano al suo repertorio dal titolo: Come fare contenti i grandi.

Allora intervengo, e gli chiedo ”Bene, ora hai fatto un bell’omino che secondo te piace ai grandi, ma ti voglio fare una richiesta un po’ strana…mi disegneresti un altro omino? Però devi fare il modo che non mi piaccia!”

Il bambino mi guarda spalancando gli occhi per un istante, poi , senza nessun attimo in mezzo , si mette a disegnare e dopo qualche minuto mi consegna questo:

disegno2_masoni

Ora sono io a spalancare gli occhi. Vedo regole infrante. Non credo alla creatività dei bambini ( il discorso è assai più complesso di quanto si creda), ma alla licenza sì, alla loro libertà assoluta sì. E qui il bambino si mostra libero. Se vorrà esser accettato come disegnatore dovrà munirsi, nella vita, della copertura di una comunità di critici amica. Ma per ora tanto gli basterebbe per sentirsi dire ”Ce la potrebbe fare”.

Un altro esempio? Saliamo con l’età, ora ho davanti a me un quindicenne di scarsa cultura, gli chiedo di disegnarmi un viso. E’ sottinteso che io mi aspetti un bel viso e un bel disegno, curato e precisino.
Così il ragazzo mi accontenta:

disegno_4_masoni

Ecco, quindi il suo disegno: la banalità fattasi segno. Una sorta di media dei disegni possibili, un disegno “grigio”(e non mi riferisco al grigio del disegno, ma al grigiore, alla mediocrità), non perché al suo autore piace il grigio, ma perché il grigio “va bene su tutto”. Quale maestro, insegnante, guida, oserebbe dire al ragazzo che ha disegnato una vera schifezza? Certo, nemmeno io lo farei, direi annuendo che questo è un viso di un ragazzo, per educazione, per non ferirlo.

Ma ora chiedo anche a questo quindicenne la stessa cosa che ho chiesto prima al bambino di sei anni. Anche lui mi guarda per un attimo, poi, velocemente, disegna …questo:

 

disegno_5

Sono , stupito ancora, di fronte a un tratto espressionista, a una mano felice e libera, a un insieme di segni che mi dice qualcosa.

Mi chiedo se ci sia una differenza in queste cose fra bambini, ragazzi e adulti, e allora, impudente, mi rivolgo a un insegnante di 35 anni.

Parlando con lui il discorsa cade sulle case, faccio un po’ di stupidissimi giri di parole per poi arrivare alla domanda: ”Mi disegni una bella casa ?”. La reazione è inattesa, l’adulto è in imbarazzo, mi dice che non sa disegnare. Ne incontro tanti che me lo dicono e ora non aspettatevi che dica la solita idiozia: tutti possono diventare bravi a disegnare!

Non la dico. So che non è vero. Ma so che qualcosa si può comunque disegnare, così insisto, fino a rasentare l’invadenza. Ma lui niente, imbarazzato, sudato, mi dice che non se la sente, proprio è negato per il disegno.

Non ho quindi un esempio di casetta da lui ben disegnata da mostrarvi. Ma ne ho un altro: chiedo, finalmente rinunciando ad avere il “bel disegno”, se è disposto a farmi un brutto disegno, di una brutta casa. A quel punto le paure del mio amico scompaiono, sorride e si mette a disegnare, e produce questo:

 

disegno_casa_1

E questo, dovreste un po’ fidarvi del mio giudizio, non è un brutto disegno. Certo non è la mano di un architetto, ma quelle pareti refrattarie all’angolo retto, quelle molte facce dell’edificio, quell’insulto al parallelepipedo e al tetto a due falde, rappresentano una coraggiosa affermazione di originalità.

Mi ricorda un disegno di un grande architetto espressionista, ovvio, non sono la stessa cosa, ma guardate un po’:

diesgno_casa2

Bene, possiamo concludere.

Quando vediamo un disegno di un bambino (ma anche di altri), non dovremmo chiederci: “Cosa vorrà dire?”, ma ”A chi è destinato?” e “Come glielo hanno chiesto?”.

M.V .M.

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Genitori strategici

E’ con grandissimo piacere che anticipo questo articolo accogliendo e dando il benvenuto nella famiglia Bresciabimbi.it  a Bernardo Paoli coach e psicoterapeuta stategico da ora a disposizione degli amici di Bresciabimbi. 

Vi invito a leggere l’articolo, e a lasciare i vostri commenti!

 

GENITORI STRATEGICI

di Bernardo Paoli

 

I tempi sono cambiati: cinquant’anni veniva facile attuare un’educazione “in solido”: padri, madri e l’intera comunità degli adulti (maestre, insegnanti, medici, sacerdoti, ecc.) erano schierati dalla stessa parte con lo scopo di rendere la vita dei ragazzi non tanto facile ma certamente più produttiva. Da qualche decennio a questa parte invece la sintonia tra adulti è divenuta sempre meno scontata: padri e madri si appellano a princìpi educativi diversi; genitori e insegnanti discutono tra loro di qual è il miglior sistema educativo da attuare… la sintonia tra adulti si è persa e, come sanno bene i genitori separati, quando c’è una frattura tra adulti i figli “si infilano nel mezzo” facendosi appoggiare di volta in volta da chi è più arrendevole.

In un contesto di “educazione in solido” i figli erano culturalmente e spontaneamente ubbidienti e rispettosi dei propri genitori: non avevano altra possibilità che essere ubbidienti e rispettosi. Oggi non è più così. Questo cambiamento relazionale viene spesso vissuto dai genitori con ansia e frustrazione e la domanda è: <<Che cosa facciamo allora?>>. Questa domanda nasce dallo stupore che non è più automatico avere il rispetto da parte dei propri figli. D’altronde non è nemmeno più sufficiente avere un ruolo sociale perché questo venga riconosciuto e rispettato dagli altri. Se sei insegnante, sindaco, sacerdote, politico, l’aver raggiunto questo ruolo non porta automaticamente con sé il fatto che gli altri ti daranno rispetto, che ti percepiranno come un punto di riferimento, come un’autorità.

<<Che cosa facciamo allora?>>. Questa domanda sembra davvero senza risposta e nasce dal ritenere che siamo figli di un’epoca nuova e bizzarra che mai si è presentata prima nella storia umana. Ma una risposta c’è, e si trova molto indietro nei secoli, in quell’epoca in cui sono stati indicati i princìpi grazie ai quali è possibile acquistare autorevolezza quando questa non viene concessa così facilmente. Si tratta di far memoria dell’antica arte cinese dello stratagemma.

Diceva Sun Tzu: <<Il mare calmo governa i fiumi tumultuosi perché li governa dal basso>>.

Dal basso, non dall’alto. Quando un figlio non riconosce il tuo ruolo di genitore il rispetto lo si acquisisce dal basso, non dall’alto; con la morbidezza, non con la rigidità; con l’astuzia, non con la forza della pretesa. Se si è innescato uno scontro frontale tra chi pretende rispetto (il genitore) e chi non lo vuole concedere (il figlio), aumentare ulteriormente la pretesa aumenterà ulteriormente il conflitto; chiedere con ancora più autorità il rispetto del proprio ruolo di genitore, aumenterà ulteriormente la negazione di quanto richiesto. Chi si irrigidisce mostra solo la propria fragilità, mentre solo chi è veramente forte è in grado di ammorbidirsi. La morbidezza, essa è il veicolo principale dell’astuzia e dell’efficacia.

<<I genitori della mia amica, loro sì che sono dei bravi genitori, non voi!>>

<<Potete impormi tutte le regole che volete tanto farò sempre e comunque di testa mia!>>.

Ecco come un genitore può fornire una tipica risposta “dall’alto”: <<Sei nostro figlio e finché vivrai sotto il tetto di casa nostra farai quello che diciamo noi!>>. Cosa immaginate che possa succedere dopo questa risposta?

“Dall’alto” non funziona.

Vediamo adesso invece una risposta “dal basso”. Un giorno due genitori si presentarono per una consulenza, stremati dalle lunghe litigate col loro figlio adolescente che rientrava a casa molto tardi la notte dopo essersi sballato con gli amici a giro per la città. I genitori lo aspettavano tutta la notte in piedi e al suo rientro iniziavano lunghe spiegazioni con cui cercavano di persuaderlo a modificare il suo comportamento. Il figlio, pur di porre fine a queste discussioni notturne si dichiarava convinto, salvo poi il giorno dopo rientrare sempre a notte fonda. Ai genitori venne consigliato di dire così: <<Abbiamo pensato molto a quello che sta succedendo in casa e a tutte le nostre discussioni sul fatto che fai tardi la notte mettendoti in pericolo. Sai che cosa abbiamo capito? Che non possiamo vietarti di farti del male. Se vuoi nuocere alla tua vita noi non possiamo opporci. L’unica cosa che possiamo fare è esserci se avrai bisogno di noi. D’altronde capiamo che tu vuoi essere uguale ai tuoi amici, che vuoi omologarti a loro: è certamente più facile per te fare il duro con noi anziché importi con i tuoi amici dicendo loro che torni a casa entro mezzanotte. Sarebbe troppo. Quindi, fai tu. Anche noi agiremo come ci sembra meglio>>. A quel punto chiesi ai genitori di chiudere col chiavistello il portone di casa dopo mezzanotte. Al rientro del figlio a tarda notte si sarebbero dovuti comportare così: il figlio trovando il portone chiuso avrebbe dovuto suonare il campanello o chiamare i genitori al cellulare; a quel punto loro avrebbero aspettato una mezz’ora prima di aprire il portone facendo aspettare il figlio al freddo. Il padre o la madre sarebbero poi con calma scesi ad aprire il portone dicendo, con gli occhi chiusi dal sonno: <<Scusa, ho chiuso il portone, che sbadato>>. Senza aggiungere altro sarebbero tornati a letto. Dopo una settimana di questo trattamento il figlio, infastidito dal comportamento “sbadato” dei genitori, negoziò sull’orario di rientro a casa.

 “Dal basso” funziona.