Il coraggio, la fatica la meraviglia di ascoltare
“Saper ascoltare significa possedere, oltre al proprio, il cervello degli altri.” (Leonardo da Vinci)
“Amare vuol dire soprattutto ascoltare in silenzio.” (Antoine de Saint-Exupéry)
Che significato ha la capacità di ascolto nelle nostre vite?
Come si evolve nell’arco della crescita personale?
E chi bisogna ascoltare?
La seconda domanda forse è quella che ha risposta più semplice.
Nella vita di ognuno di noi accade prima di “dover” ascoltare: per esempio, da bambini, una lezione a scuola, il racconto di un amico, gli scambi tra fratelli o sorelle, le confidenze della migliore amica, gli elogi o le sgridate dei genitori…
Il linguaggio, parlato e ascoltato, è per il bambino uno strumento di recente acquisizione e per questo sente la spinta evolutiva a farne esercizio (chi dei lettori ha figli o conosce bambini che hanno la lingua che “non si spegne mai?”); arrivano le prime paroline, i primi “no”, i primi (e instancabili!) “perchè”; il bambino sperimenta inoltre il gusto di poter usare il linguaggio (e l’ascolto) per intessere scambi con gli altri, per far conoscere il proprio mondo interno, per accedere a quello di chi gli sta vicino, per capire che cosa succede intorno a lui (anche a livello emotivo, canale fondamentale da coltivare per uno sviluppo psichico armonioso).
Da (pre-)adolescenti poi l’ascolto diventa “selettivo”, come se fosse un regalo prezioso: spesso si ascoltano meno i genitori e più gli amici, si dedica molta attenzione alle parole della/e persona/e in quel momento vissuta/e come punto di riferimento (la morosa, il miglior amico, il leader del gruppo, l’eroe del momento…), o a tutto ciò che dà conferma di sé e delle proprie idee. Questa è una fase necessaria, difficile, a volte dolorosa e insidiosa, che impegna molta energia nel ragazzo che cresce – e almeno altrettanto può impensierire la mente del genitore: si può assistere per esempio ad un allontanamento emotivo, ad episodi inclini alla devianza, o più semplicemente può essere necessario doversi adattare ad aver meno controllo sulla vita del figlio. Col tempo, questo momento di sviluppo si trasforma e porta alla costruzione della propria identità, declinata rispettivamente in una presa di posizione critica rispetto ad alcuni vissuti familiari (gli aspetti per esempio dello stile educativo genitoriale da cui ci si vuole discostare o che al contrario si desidera ricalcare), in un recupero sincero di ricordi positivi interiorizzati, per un periodo lasciati da parte (per esempio gli aspetti buoni dei genitori, ciò verso cui si è loro riconoscenti) e nella costruzione di parti identificative originali e personali.
E da adulti che fine fa la capacità di ascolto?
Diciamo che, oltre alla predisposizione caratteriale, l’ascolto – e il suo recupero – diventano naturali tanto quanto questi siano stati un modello e un insegnamento a cui siamo stati esposti. Ma, anche se non ci si sente esperti ascoltatori (di sé o degli altri), si può comunque “migliorare” e, come dice il Piccolo Principe, “addomesticarsi” a questa utile e antica pratica.
La vita in effetti impone, spesso prepotentemente, un’esigenza di ascolto. Pensiamo per esempio all’arrivo di una nuova vita: un neonato, sebbene privo di alcune competenze, è capacissimo di farsi ascoltare! rendendo il ruolo dei genitori al contempo meraviglioso ed estremamente impegnativo e complicato… a questo proposito facciamo una piccola parentesi: il pianto di un bambino smuove molto a livello interiore e può metter davanti a contenuti a volte dimenticati o messi da parte. Allo stesso tempo, le nostre risposte a questo potente stimolo possono essere influenzate da tanti fattori, alcuni dei quali suscitano a loro volta un bisogno di ascolto (di se stessi), per una buona crescita personale e per lasciare i nostri figli liberi dalle nostre zavorre personali. Caspita, quanto possiamo fare da genitori!!
La vita può essere ricca di altri stimoli, altrettanto carichi emotivamente, pertanto l’ascolto è importante declinarlo in due sensi:
– ascolto dato
– ascolto ricevuto
Per un buon equilibrio servono e sono importanti entrambe le direzioni, in ogni tipo di relazione sebbene a volte in proporzioni diverse.
“Ti ascolto….”: quanto fa bene sentirsi dire questa frase, magari da una persona che ci sta a cuore?
“Mi ascolto….”: ogni tanto fa bene dirsi anche questa, per riuscire a dare attenzione al nostro mondo interno e riconoscere che cosa sentiamo.
L’ascolto fa crescere, l’ascolto dà valore e al contempo permette di andare oltre se stessi, di evolvere, di migliorare e di colmare un po’ alla volta quella versione di noi ideale che ognuno dovrebbe avere come meta da raggiungere.
E forse qui abbiamo risposto, almeno in parte, al significato dell’ascolto.
Che cosa può favorirlo?
Sensibilità, empatia, disponibilità, altruismo, sintonia, sacrificio, autostima… sono tutti valori inerenti alle due direzioni dell’ascolto e sono abilità che si possono “allenare”.
Si può essere sensibilizzati e ci si può sensibilizzare ad ascoltare nel profondo.
E sceglierlo da adulti è sicuramente una volontà coraggiosa!
Il coraggio di ascoltare si manifesta infine anche in coppia (intesa come coppia coniugale, ma anche come amicizia, rapporto tra colleghi, rapporto genitoriale…): coraggio di ascoltare se stessi ma anche coraggio di ascoltare l’altro. Sinceramente. Coraggio, fatica e meraviglia di accogliere anche il suo punto di vista, che può essere distante dal nostro e apparentemente incomprensibile, ma alquanto prezioso e trasformativo. Si, perché è anche grazie agli altri che si diventa migliori.
In una coppia, specialmente se longeva, possono arrivare momenti di fatica: fatica fisica, fatica emotiva, fatica comunicativa. E’ normale. In una coppia una buona comunicazione emotiva è ciò che salva in questi “momentacci”; e una buona comunicazione emotiva prevede una buona capacità di ascolto.
Quante volte ci si incastra invece in posizioni basate sul risentimento, sulla ripicca, sulla distanza cristallizzata dalle abitudini che fanno male al cuore?
Tutto questo si può sciogliere grazie all’ascolto profondo, quello che va al di sotto dei comportamenti, quello che raggiunge l’anima. E se non viene, si può imparare.
E ‘ proprio vero: non si può amare (se stessi o chi abbiamo vicino) senza ascoltare!
dott.ssa Luisa Belleri
Psicologa e Psicoterapeuta
3246650639
belleri@spaziolalibellula.it
opera presso Spazio La Libellula
www.luisabelleri.it
Opera presso lo spazio La Libellula
⇒ Scopri di più sul mondo dello Spazio La Libellula
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“Saper ascoltare significa possedere, oltre al proprio, il cervello degli altri.” (Leonardo da Vinci)
“Amare vuol dire soprattutto ascoltare in silenzio.” (Antoine de Saint-Exupéry)
Che significato ha la capacità di ascolto nelle nostre vite?
Come si evolve nell’arco della crescita personale?
E chi bisogna ascoltare?
La seconda domanda forse è quella che ha risposta più semplice.
Nella vita di ognuno di noi accade prima di “dover” ascoltare: per esempio, da bambini, una lezione a scuola, il racconto di un amico, gli scambi tra fratelli o sorelle, le confidenze della migliore amica, gli elogi o le sgridate dei genitori…
Il linguaggio, parlato e ascoltato, è per il bambino uno strumento di recente acquisizione e per questo sente la spinta evolutiva a farne esercizio (chi dei lettori ha figli o conosce bambini che hanno la lingua che “non si spegne mai?”); arrivano le prime paroline, i primi “no”, i primi (e instancabili!) “perchè”; il bambino sperimenta inoltre il gusto di poter usare il linguaggio (e l’ascolto) per intessere scambi con gli altri, per far conoscere il proprio mondo interno, per accedere a quello di chi gli sta vicino, per capire che cosa succede intorno a lui (anche a livello emotivo, canale fondamentale da coltivare per uno sviluppo psichico armonioso).
Da (pre-)adolescenti poi l’ascolto diventa “selettivo”, come se fosse un regalo prezioso: spesso si ascoltano meno i genitori e più gli amici, si dedica molta attenzione alle parole della/e persona/e in quel momento vissuta/e come punto di riferimento (la morosa, il miglior amico, il leader del gruppo, l’eroe del momento…), o a tutto ciò che dà conferma di sé e delle proprie idee. Questa è una fase necessaria, difficile, a volte dolorosa e insidiosa, che impegna molta energia nel ragazzo che cresce – e almeno altrettanto può impensierire la mente del genitore: si può assistere per esempio ad un allontanamento emotivo, ad episodi inclini alla devianza, o più semplicemente può essere necessario doversi adattare ad aver meno controllo sulla vita del figlio. Col tempo, questo momento di sviluppo si trasforma e porta alla costruzione della propria identità, declinata rispettivamente in una presa di posizione critica rispetto ad alcuni vissuti familiari (gli aspetti per esempio dello stile educativo genitoriale da cui ci si vuole discostare o che al contrario si desidera ricalcare), in un recupero sincero di ricordi positivi interiorizzati, per un periodo lasciati da parte (per esempio gli aspetti buoni dei genitori, ciò verso cui si è loro riconoscenti) e nella costruzione di parti identificative originali e personali.
E da adulti che fine fa la capacità di ascolto?
Diciamo che, oltre alla predisposizione caratteriale, l’ascolto – e il suo recupero – diventano naturali tanto quanto questi siano stati un modello e un insegnamento a cui siamo stati esposti. Ma, anche se non ci si sente esperti ascoltatori (di sé o degli altri), si può comunque “migliorare” e, come dice il Piccolo Principe, “addomesticarsi” a questa utile e antica pratica.
La vita in effetti impone, spesso prepotentemente, un’esigenza di ascolto. Pensiamo per esempio all’arrivo di una nuova vita: un neonato, sebbene privo di alcune competenze, è capacissimo di farsi ascoltare! rendendo il ruolo dei genitori al contempo meraviglioso ed estremamente impegnativo e complicato… a questo proposito facciamo una piccola parentesi: il pianto di un bambino smuove molto a livello interiore e può metter davanti a contenuti a volte dimenticati o messi da parte. Allo stesso tempo, le nostre risposte a questo potente stimolo possono essere influenzate da tanti fattori, alcuni dei quali suscitano a loro volta un bisogno di ascolto (di se stessi), per una buona crescita personale e per lasciare i nostri figli liberi dalle nostre zavorre personali. Caspita, quanto possiamo fare da genitori!!
La vita può essere ricca di altri stimoli, altrettanto carichi emotivamente, pertanto l’ascolto è importante declinarlo in due sensi:
– ascolto dato
– ascolto ricevuto
Per un buon equilibrio servono e sono importanti entrambe le direzioni, in ogni tipo di relazione sebbene a volte in proporzioni diverse.
“Ti ascolto….”: quanto fa bene sentirsi dire questa frase, magari da una persona che ci sta a cuore?
“Mi ascolto….”: ogni tanto fa bene dirsi anche questa, per riuscire a dare attenzione al nostro mondo interno e riconoscere che cosa sentiamo.
L’ascolto fa crescere, l’ascolto dà valore e al contempo permette di andare oltre se stessi, di evolvere, di migliorare e di colmare un po’ alla volta quella versione di noi ideale che ognuno dovrebbe avere come meta da raggiungere.
E forse qui abbiamo risposto, almeno in parte, al significato dell’ascolto.
Che cosa può favorirlo?
Sensibilità, empatia, disponibilità, altruismo, sintonia, sacrificio, autostima… sono tutti valori inerenti alle due direzioni dell’ascolto e sono abilità che si possono “allenare”.
Si può essere sensibilizzati e ci si può sensibilizzare ad ascoltare nel profondo.
E sceglierlo da adulti è sicuramente una volontà coraggiosa!
Il coraggio di ascoltare si manifesta infine anche in coppia (intesa come coppia coniugale, ma anche come amicizia, rapporto tra colleghi, rapporto genitoriale…): coraggio di ascoltare se stessi ma anche coraggio di ascoltare l’altro. Sinceramente. Coraggio, fatica e meraviglia di accogliere anche il suo punto di vista, che può essere distante dal nostro e apparentemente incomprensibile, ma alquanto prezioso e trasformativo. Si, perché è anche grazie agli altri che si diventa migliori.
In una coppia, specialmente se longeva, possono arrivare momenti di fatica: fatica fisica, fatica emotiva, fatica comunicativa. E’ normale. In una coppia una buona comunicazione emotiva è ciò che salva in questi “momentacci”; e una buona comunicazione emotiva prevede una buona capacità di ascolto.
Quante volte ci si incastra invece in posizioni basate sul risentimento, sulla ripicca, sulla distanza cristallizzata dalle abitudini che fanno male al cuore?
Tutto questo si può sciogliere grazie all’ascolto profondo, quello che va al di sotto dei comportamenti, quello che raggiunge l’anima. E se non viene, si può imparare.
E ‘ proprio vero: non si può amare (se stessi o chi abbiamo vicino) senza ascoltare!
dott.ssa Luisa Belleri
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