Falsi miti da sfatare nel rapporto con i figli
Da dove arriva tutta questa fragilità?
Tutta questa confusione su cosa fare o non fare con i figli?
Com’è che anche le questioni più semplici a volte diventano terribilmente complesse?
Perché i nostri antenati erano così imperfetti coi bambini, ma risultava più facile per loro procreare cinque, sei, sette figli?
D’un tratto, nel giro di pochi anni, è diventato tutto molto complicato.
Com’era prima
Vediamo quali erano le tre caratteristiche presenti nel corso di millenni di storia umana:
– gioco libero: non esistevano attrezzature particolari, i bambini si autorganizzavano con quello che avevano (noccioli di albicocche o pesche, figurine, ecc…). Nessun adulto si poneva come istruttore. Era sufficiente un adulto che li sorvegliasse da lontano.
– gruppo spontaneo: collegato al gioco libero. Ossia gruppi infantili di cortile, condominio o quartiere che si aggregavano per fare delle attività (giochi di ogni sorta).
– vita nella natura: dove per natura si intende qualcosa di molto semplice come una nevicata, una pozzanghera, una raccolta di lumache, un sentire da qualche parte o un arrampicata sull’albero. Era una fonte di apprendimento continuo. Pensiamo anche all’educazione sessuale che veniva acquisita mediante l’osservazione della vita degli animali.
Fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta avviene un cambiamento antropologico epocale.
Lasch, uno studio americano, intercetta questo cambiamento e lo definisce “l’avvento dell’età del narcisismo”.
Si passa pertanto dalla società dei legami, della condivisione, della famiglia allargata a quella dell’individuo in quanto tale e della sua capacità di rendersi visibile. Si parla pertanto di “famiglia nucleare” la quale si ritira uscendo da un contesto comunitario. Lo strumento che permette questa trasformazione agli inizi degli anni Ottanta è proprio la televisione commerciale.
I bambini iniziano a trascorrere ore e ore davanti la televisione, è un mondo fantastico e ciò determina un cambiamento importante.
I bambini v gnomo visti come qualcosa non più da educare, ma da conservare preziosamente.
Non devono più litigare con gli altri, sbucciarsi le ginocchia, sporcarsi, inventarsi giochi nuovi.
I genitori sono i primi a vivere quel modo mondo e trasmettono quindi ai loro figli questa vita ben organizzata e sistematizzata, lontana dall’infanzia infantile.
I bambini non meritano un ritorno al passato, ma un’offerta educativa differente, che sviluppi le loro enormi risorse.
I miti da sfatare:
Ti devono ascoltare
Un bambino di 3 anni ha tempi di attenzione limitata, è inutile pertanto fargli discorsi lunghi perché si rischia solamente di creargli confusione. Così come, riferendomi alla tecnica del time out sociale, non sono in grado di riflettere autonomamente ad un suo comportamento scorretto. Il genitore di oggi, invece, è stato spinto a pensare di avere davanti un piccolo filosofo. Ricordiamo che il bambino non è in grado di comprendere concetti troppo astratti anche perché ha un cervello di tipo sensoriale e pratico. Non bisogna procede con gli ordini perché si rischia di creare disobbedienza e opposizione. Servono regole chiare, procedure semplici e ben comunicate usando termini oggettivi e impersonali: “è ora di andare a letto”, “ ci si alza da tavola quando tutti hanno finito”. Le regole sono efficaci perché danno sicurezza e creano consuetudini prevedibili.
Giocare con i figli è un obbligo
Il bene per un bambino è giocare con i suoi pari. I genitori non dovranno equipararsi al figlio di sei anni sforzandosi a fare un gioco insieme. Il genitore dovrebbe organizzare lo spazio gioco (es. portandolo al parco e invitando i suoi amichetti). Oppure quando un genitore ritorna a casa dal lavoro e viene assalito dal figlio perché vuole giocare, sarebbe meglio creare una routine che favorisca il riposo notturno del bambino (portarlo a lavare le mani e denti, leggergli una storia, raccontargli cos’ha svolto il genitore durante la giornata) e che non faccia sentire il genitore in obbligo di giocare dopo una giornata estenuante di lavoro. Nel fine settimana ci sarà tempo per giocare anche un po’ con mamma e papà.
Non puoi costringerli
“cosa vuoi fare oggi?”, “ vuoi andare al parco o dalla nonna?”,”vuoi che stasera ti metta a letto la mamma o il papà?”. Sono domande che possono generare ansia nel bambino. Il bambino ha bisogno di imparare buone abitudini e non prendere decisioni che mamma e papà non sono in grado di prendere. Possono invece scegliere che tipo di gioco hanno voglia di fare, perché possiedono intuito e in quel caso sanno perfettamente cosa li diverte.
Il dialogo a tutti i costi
La tendenza al “discussionismo” deriva da anni in cui l’attenzione è stata posta sulla necessità di parlare tanto con i figli spiegando loro tutto. Perché passare ore a convincere un bambino di tre anni ad andare a letto presto la sera? A quell’eta la soglia di attenzione è molto bassa e smette presto di ascoltare. Capisce solo che i suoi genitori non sono chiari e fermi nell’organizzazione delle regole.
Parlare ai figli come se fossero adulti
Parlare con i figli è piacevole, importante e rafforza i legami affettivi. Pensare che diventi il metodo educativo per eccellenza risulta l’anticamera di equivoci generando aspettative che non troveranno soddisfazione. (Es. “ gli ho parlato e finalmente pare abbia capito”).
Sono nativi digitali, non puoi impedirglielo
Una buona educazione passerà anche dalla gestione della dimensione digitale, che dev’essere centellinata e rimandata all’età corretta. Mezz’ora al giorno al massimo di televisione o schermi dopo i tre anni e, dai sei anni in su si potrà salire a quaranta- cinquanta minuti. I primi anni di vita devono essere completamente sensoriali: il bambino n cessata di compiere esperienze tattili, olfattive, uditive, giocare con l’acqua, la sabbia e materiali differenti. La mano, infatti, è l’organo più in connessione con le aree cerebrali che contribuiscono allo sviluppo.
Non lo controlli abbastanza
I bambini sono assolutamente in grado di gestire i conflitti tra di loro. La presenza educativa degli adulti non si risolve nel controllo dei figli, quasi che non si dovessero mai perdere di vista. Si tratta piuttosto di una presenza affettiva organizzata.
Cercare il disturbo
Negli ultimi quindici anni i bambini sono stati il bersaglio di un processo di neuromedicalizzazione. In tempi brevi sono raddoppiate le certificazioni di disabilità neuropsichiatria collegate alla legge 104 sull’assistenza. Si tratta di eccessi diagnostici che andrebbero contenuti anziché essere incoraggiati. I bambini difficili sono sempre esistiti e una scuola di qualità li ha sempre saputo gestire senza ricorrere a etichette diagnostiche. Prima di ricorrere a queste etichette diagnosticheranno bisognerebbe verificare la qualità educativa della vita di un bambino.
Devi stargli vicino
La vicinanza senza confini nasce proprio da questo sentimento di empatia totale verso i figli, al limite della sostituzione. Ciò può avvenire in tanti modi: lasciarli entrare in bagno quando ci sono i genitori, usare lo smartphone assieme, coricarsi nel letto del figlio, fare i compiti assieme se non al suo posto, raccontare tutto, non tenere nascosto nulla a prescindere dall’età. Ricordo che senza porre alcuna distanza è impossibile educare. L’eccessiva vicinanza rischia di creare nel genitore disturbi dell’ansia da separazione (es. Gite scolastiche che dovrebbero essere un’occasione di crescita per i figli, ma che spesso si trasforma in un momento di apprensione per il genitore che resta a casa).
—
Ringrazio per questo interessante approfondimento
Silvia Montagna
Pedagogista e riflessologa plantare
Telefono: 349 069 94 04
Email: misssilvia86@icloud.com
Profilo Instagram: riflessologia_plantare (Silvia Montagna)
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Tutta questa confusione su cosa fare o non fare con i figli?
Com’è che anche le questioni più semplici a volte diventano terribilmente complesse?
Perché i nostri antenati erano così imperfetti coi bambini, ma risultava più facile per loro procreare cinque, sei, sette figli?
D’un tratto, nel giro di pochi anni, è diventato tutto molto complicato.
Com’era prima
Vediamo quali erano le tre caratteristiche presenti nel corso di millenni di storia umana:
– gioco libero: non esistevano attrezzature particolari, i bambini si autorganizzavano con quello che avevano (noccioli di albicocche o pesche, figurine, ecc…). Nessun adulto si poneva come istruttore. Era sufficiente un adulto che li sorvegliasse da lontano.
– gruppo spontaneo: collegato al gioco libero. Ossia gruppi infantili di cortile, condominio o quartiere che si aggregavano per fare delle attività (giochi di ogni sorta).
– vita nella natura: dove per natura si intende qualcosa di molto semplice come una nevicata, una pozzanghera, una raccolta di lumache, un sentire da qualche parte o un arrampicata sull’albero. Era una fonte di apprendimento continuo. Pensiamo anche all’educazione sessuale che veniva acquisita mediante l’osservazione della vita degli animali.
Fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta avviene un cambiamento antropologico epocale.
Lasch, uno studio americano, intercetta questo cambiamento e lo definisce “l’avvento dell’età del narcisismo”.
Si passa pertanto dalla società dei legami, della condivisione, della famiglia allargata a quella dell’individuo in quanto tale e della sua capacità di rendersi visibile. Si parla pertanto di “famiglia nucleare” la quale si ritira uscendo da un contesto comunitario. Lo strumento che permette questa trasformazione agli inizi degli anni Ottanta è proprio la televisione commerciale.
I bambini iniziano a trascorrere ore e ore davanti la televisione, è un mondo fantastico e ciò determina un cambiamento importante.
I bambini v gnomo visti come qualcosa non più da educare, ma da conservare preziosamente.
Non devono più litigare con gli altri, sbucciarsi le ginocchia, sporcarsi, inventarsi giochi nuovi.
I genitori sono i primi a vivere quel modo mondo e trasmettono quindi ai loro figli questa vita ben organizzata e sistematizzata, lontana dall’infanzia infantile.
I bambini non meritano un ritorno al passato, ma un’offerta educativa differente, che sviluppi le loro enormi risorse.
I miti da sfatare:
Ti devono ascoltare
Un bambino di 3 anni ha tempi di attenzione limitata, è inutile pertanto fargli discorsi lunghi perché si rischia solamente di creargli confusione. Così come, riferendomi alla tecnica del time out sociale, non sono in grado di riflettere autonomamente ad un suo comportamento scorretto. Il genitore di oggi, invece, è stato spinto a pensare di avere davanti un piccolo filosofo. Ricordiamo che il bambino non è in grado di comprendere concetti troppo astratti anche perché ha un cervello di tipo sensoriale e pratico. Non bisogna procede con gli ordini perché si rischia di creare disobbedienza e opposizione. Servono regole chiare, procedure semplici e ben comunicate usando termini oggettivi e impersonali: “è ora di andare a letto”, “ ci si alza da tavola quando tutti hanno finito”. Le regole sono efficaci perché danno sicurezza e creano consuetudini prevedibili.
Giocare con i figli è un obbligo
Il bene per un bambino è giocare con i suoi pari. I genitori non dovranno equipararsi al figlio di sei anni sforzandosi a fare un gioco insieme. Il genitore dovrebbe organizzare lo spazio gioco (es. portandolo al parco e invitando i suoi amichetti). Oppure quando un genitore ritorna a casa dal lavoro e viene assalito dal figlio perché vuole giocare, sarebbe meglio creare una routine che favorisca il riposo notturno del bambino (portarlo a lavare le mani e denti, leggergli una storia, raccontargli cos’ha svolto il genitore durante la giornata) e che non faccia sentire il genitore in obbligo di giocare dopo una giornata estenuante di lavoro. Nel fine settimana ci sarà tempo per giocare anche un po’ con mamma e papà.
Non puoi costringerli
“cosa vuoi fare oggi?”, “ vuoi andare al parco o dalla nonna?”,”vuoi che stasera ti metta a letto la mamma o il papà?”. Sono domande che possono generare ansia nel bambino. Il bambino ha bisogno di imparare buone abitudini e non prendere decisioni che mamma e papà non sono in grado di prendere. Possono invece scegliere che tipo di gioco hanno voglia di fare, perché possiedono intuito e in quel caso sanno perfettamente cosa li diverte.
Il dialogo a tutti i costi
La tendenza al “discussionismo” deriva da anni in cui l’attenzione è stata posta sulla necessità di parlare tanto con i figli spiegando loro tutto. Perché passare ore a convincere un bambino di tre anni ad andare a letto presto la sera? A quell’eta la soglia di attenzione è molto bassa e smette presto di ascoltare. Capisce solo che i suoi genitori non sono chiari e fermi nell’organizzazione delle regole.
Parlare ai figli come se fossero adulti
Parlare con i figli è piacevole, importante e rafforza i legami affettivi. Pensare che diventi il metodo educativo per eccellenza risulta l’anticamera di equivoci generando aspettative che non troveranno soddisfazione. (Es. “ gli ho parlato e finalmente pare abbia capito”).
Sono nativi digitali, non puoi impedirglielo
Una buona educazione passerà anche dalla gestione della dimensione digitale, che dev’essere centellinata e rimandata all’età corretta. Mezz’ora al giorno al massimo di televisione o schermi dopo i tre anni e, dai sei anni in su si potrà salire a quaranta- cinquanta minuti. I primi anni di vita devono essere completamente sensoriali: il bambino n cessata di compiere esperienze tattili, olfattive, uditive, giocare con l’acqua, la sabbia e materiali differenti. La mano, infatti, è l’organo più in connessione con le aree cerebrali che contribuiscono allo sviluppo.
Non lo controlli abbastanza
I bambini sono assolutamente in grado di gestire i conflitti tra di loro. La presenza educativa degli adulti non si risolve nel controllo dei figli, quasi che non si dovessero mai perdere di vista. Si tratta piuttosto di una presenza affettiva organizzata.
Cercare il disturbo
Negli ultimi quindici anni i bambini sono stati il bersaglio di un processo di neuromedicalizzazione. In tempi brevi sono raddoppiate le certificazioni di disabilità neuropsichiatria collegate alla legge 104 sull’assistenza. Si tratta di eccessi diagnostici che andrebbero contenuti anziché essere incoraggiati. I bambini difficili sono sempre esistiti e una scuola di qualità li ha sempre saputo gestire senza ricorrere a etichette diagnostiche. Prima di ricorrere a queste etichette diagnosticheranno bisognerebbe verificare la qualità educativa della vita di un bambino.
Devi stargli vicino
La vicinanza senza confini nasce proprio da questo sentimento di empatia totale verso i figli, al limite della sostituzione. Ciò può avvenire in tanti modi: lasciarli entrare in bagno quando ci sono i genitori, usare lo smartphone assieme, coricarsi nel letto del figlio, fare i compiti assieme se non al suo posto, raccontare tutto, non tenere nascosto nulla a prescindere dall’età. Ricordo che senza porre alcuna distanza è impossibile educare. L’eccessiva vicinanza rischia di creare nel genitore disturbi dell’ansia da separazione (es. Gite scolastiche che dovrebbero essere un’occasione di crescita per i figli, ma che spesso si trasforma in un momento di apprensione per il genitore che resta a casa).
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Ringrazio per questo interessante approfondimento
Silvia Montagna
Pedagogista e riflessologa plantare
Telefono: 349 069 94 04
Email: misssilvia86@icloud.com
Profilo Instagram: riflessologia_plantare (Silvia Montagna)
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