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Tag: riflessioni per genitori

Disturbi dell’apprendimento: come riconoscerli ed affrontarli

Disturbi dell’apprendimento: come riconoscerli ed affrontarli.

Che cosa sono i disturbi dell’apprendimento?

Con questo nome, noto anche con la sigla DSA, si vuole indicare una gamma di problematiche nello sviluppo cognitivo e nell’apprendimento che non sono però imputabili fattori di handicap mentale grave. Le “Raccomandazioni per la pratica clinica sui disturbi specifici dell’apprendimento”, disponibili in Italia dal 2007, indicano che il principale criterio necessario per stabilire la diagnosi di DSA è quello della discrepanza tra il livello di intelligenza generale del bambino e l’abilità nel dominio specifico interessato.

Pertanto, per parlare di DSA vi deve essere una compromissione significativa in uno specifico “settore” dell’apprendimento ma un livello intellettivo nei limiti della norma. Inoltre, si devono escludere condizioni di handicap (es. mentale, sensoriale) e si devono valutare attentamente gli aspetti di svantaggio socioculturale che possono influire sulle difficoltà scolastiche, così come escludere la presenza di altri disturbi specifici (es. disturbi dello spettro autistico, problematiche emotive gravi, ecc.).

Come si possono suddividere?

Si possono distinguere principalmente tre tipi di abilità fondamentali nei primi apprendimenti, cioè quelle della lettura, della scrittura e del calcolo. Nonostante più avanti nello sviluppo l’insegnamento si sposti anche ad abilità più complesse (es. apprendimento delle lingue straniere, del ragionamento matematico) i sistemi di classificazione standard si sono concentrati maggiormente sulle abilità di base.

I DSA si suddividono perciò in : dislessia, disortografia, discalculia e disgrafia.

La dislessia è il disturbo specifico di lettura che si manifesta nei processi di decodifica dei segni scritti

La disortografia è un disturbo specifico di scrittura che si esprime attraverso difficoltà di transcodifica (es. non si rispetta la corrispondenza tra il suono della lettera e il segno grafico della lettera stessa)

La disgrafia è un disturbo specifico di scrittura che si manifesta attraverso una scrittura deformata, irregolare a causa di un disturbo che colpisce la coordinazione

La discalculia è un disturbo specifico del calcolo che si manifesta con difficoltà nei compiti numerici e aritmetici di base come ad esempio leggere e scrivere correttamente i numeri o eseguire calcoli a mente e scritti con rapidità e precisione

Quali sono le caratteristiche di questi disturbi che mi possono aiutare a capire se vi è una difficoltà?

DISLESSIA

Mentre il bambino legge, è possibile che si verifichino i seguenti errori:

scambio di vocali (es. casa/cosa)

scambio di consonanti (es. fento/vento)

omissione o aggiunta di suoni

omissione di parola

salti di righe

errori di accentazione

errori di omissione/aggiunta di doppie

 

DISORTORGRAFIA

Nella scrittura, il bambino può:

omettere o aggiungere delle doppie

omettere o aggiungere degli accenti

scambiare i suoni e scrivere una lettera per un altra

invertire delle lettere (es. interprete/interpetre)

inserire lettere

omettere o aggiungere la h

omettere o aggiungere l’apostrofo

“fondere” delle parole (ilcane)

 

DISGRAFIA

Non vi sono, in Italia, sistemi di classificazione agili capaci di rilevare i diversi livelli di gravità nella disgrafia. In linea di massima, il criterio che possiamo usare è quello della leggibilità della scrittura.

Inoltre si può osservare come il bambino riesce a gestire lo spazio del foglio (es. fatica a stare nello spazio oppure ne utilizza troppo poco), la distanza che pone tra le lettere e le parole (es. molto distanti o eccessivamente vicine) e la rapidità di scrittura.

 

DISCALCULIA

Il bambino può:

avere difficoltà a capire i termini o i segni matematici

faticare a riconoscere i simboli numerici

avere difficoltà ad imparare le tabelline

non riuscire a capire i concetti di base delle operazioni

faticare ad allineare correttamente i numeri o a inserire decimali/simboli nei calcoli

 

Cosa fare se sospetto un DSA?

Quanto scritto nel paragrafo precedente rappresenta solamente un’indicazione di massima non esaustiva, una guida nel caso avessimo qualche sospetto che nostro figlio abbia delle difficoltà di apprendimento.

Teniamo presente che la diagnosi di dislessia, disortografia e disgrafia può essere fatta alla fine della seconda elementare, mentre quella di discalculia alla fine della terza elementare.

Quando un genitore sospetta di avere un figlio con un disturbo dell’apprendimento, deve rivolgersi al pediatra e agli insegnanti per valutare eventuali percorsi di potenziamento per risolvere le problematiche evidenziate. Se l’attività didattica proposta risulta inefficace, bisogna fare, al più presto, una valutazione diagnostica. Per poter fare la valutazione diagnostica, bisogna rivolgersi al servizio di Neuropsichiatria Infantile dell’Agenzia di Tutela della Salute di competenza (ex ASL) oppure a dei centri privati. Da evidenziare che spesso, data la mole delle richieste, i servizi di Neuropsichiatria Infantile hanno tempi di attesa piuttosto lunghi, che tuttavia è sempre bene verificare direttamente. In alternativa, ci si può rivolgere a centri privati che sono accreditati per la diagnosi di DSA. L’accordo tra Stato-Regioni su “Indicazioni per la diagnosi e la certificazione dei Disturbi specifici di apprendimento (DSA)”,  prevede che per poter effettuare la certificazione di un Disturbo dell’Apprendimento, il centro debba avere esperienza nell’attività diagnostica dei DSA, debba avere disponibilità di un’équipe multidisciplinare costituita da neuropsichiatri infantili, psicologi, logopedisti eventualmente integrata da altri professionisti sanitari e modulabile in base alle fasce di età.

Inoltre, ci dev’essere una dichiarazione di impegno a rispettare le Raccomandazioni per la pratica clinica dei DSA (2007-2009) ad esempio in merito alle procedure diagnostiche utilizzate e alla formulazione della diagnosi.

 

Il sito aiditalia.org offre numerose indicazioni e spunti per sapere di più sui disturbi specifici dell’apprendimento e in particolare una guida per i genitori molto utile ed esaustiva

Interessante anche il sito anastasis.it che offre una panoramica anche degli strumenti compensativi.

Dott.ssa Cavana Maura

Psicologa-Insegnante di Massaggio Infantile

Riceve a Palazzolo sull’Oglio e Bergamo

Mail: maura.cavana@gmail.com

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Non aprite quella pappa!

Cosa c’è davvero dentro il cibo dei bambini? Conosciamo gli ingredienti “nascosti” che arrivano sulle nostre tavole? Sappiamo leggere le etichette?  Cosa guida davvero  i nostri acquisti?

Tante domande come queste hanno mosso la giornalista Laura Bruzzaniti  ad affrontare un viaggio all’interno di un mercato che pare marginale, ma che in realtà ha grande potere: il baby food. Tutte le informazioni raccolte e le riflessioni che ne sono nate sono racchiuse in un libro da poco in circolazione dal titolo: Non aprite quella pappa! Manuale di autodifesa per genitori e bimbi edito da Altraeconomia.

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Titolo certamente importante, ma ancora di più lo sono i suoi contenuti. Senza pregiudizi e con il supporto di autorevoli pareri il libro scopre il velo sull’universo del cibo industriale per bambini e sul marketing del baby food spiegando chi sono “i padroni della pappa”, quali siano alcuni dei meccanismi e degli inganni della pubblicità nel settore del cibo per bambini.

Il vero obiettivo della pubblicità degli alimenti per l’infanzia è  chi si occupa della  spesa: i genitori! I bimbi difficilmente si recano al supermercato in autonomia, così sono i grandi ad essere influenzati dal bombardamento di messaggi rassicuranti sulla bontà e genuinità  di prodotti che vengono raccontati come salutari e adatti ai bambini, ma spesso non lo sono.

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Il testo non è un invito a non comprare cibo industriale, ma vuole essere un manuale che aiuti i genitori a diventare più consapevoli nei propri acquisti e nelle proprie scelte; genitori capaci di leggere le etichette correttamente e soprattutto di decodificare i messaggi nascosti e la pubblicità ingannevole.

Zucchero, sale, farine raffinate, grassi “cattivi”, additivi e aromi sono spesso presenti in quantità eccessive nella lista degli ingredienti dei cibi “dedicati” ai bambini. L’analisi dell’autrice scova, o meglio, fa risaltare la presenza di questi ospiti in alimenti di uso comune nell’alimentazione dei bambini. Se è nell’immaginario di tutti che le merendine possano contenerli magari balza meno alla mente che siano presenti in nelle tisane, latte di proseguimento, yogurt, formaggini, surgelati, cornflakes,…..

Il potere è nelle mani di chi compra!

M’illumino di meno

M’illumino di meno

Compie ben dodici anni l’iniziativa lanciata e ideata da Caterpillar di Radio2. “M’illumino di meno” è la  più grande campagna radiofonica di sensibilizzazione sui consumi energetici e la mobilità sostenibile.

Il nome della campagna prende spunto dai celebri versi di Ungaretti “M’illumino / d’immenso”  e sin dalla sua prima edizione cade nei giorni attorno al 16 febbraio, non a caso ma per ricordare il giorno dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto.

L’edizione di quest’anno è dedicata in particolare al tema della mobilità sostenibile con la grande operazione Bike the Nobel, la campagna in cui si candida la bicicletta a Premio Nobel per la Pace. Per questo  l’invito per gli amministratori e i cittadini è quello di basare la propria adesione promuovendo l’uso della bicicletta e di tutti i mezzi a basso impatto energetico come simbolo di pace e di rispetto per l’ambiente. Pedalate cittadine, incentivi a usare i mezzi pubblici, pedibus scolastici, rinunciare un giorno all’automobile sono solo alcune delle tante iniziative che è possibile organizzare nei proprio territori per aderire.

Inizialmente l’idea di ridurre al minimo il consumo energetico spegnendo per almeno qualche ora i dispositivi non indispensabili era rivolta ai cittadini. Nel corso delle edizioni poi ha raccolto consensi e adesioni anche da parte di comuni e autorità fino a ottenere il consenso Presidenza del Consiglio dei ministri e  il patrocinio del Ministero dell’Ambiente. Questo a dimostrare che il problema è di tutti, di chi decide, certamente, ma anche di chi utilizza. La comodità e la fretta spesso sono cattive consigliere nel trovare alternative a favore del risparmio energetico. Si sente spesso ripetere che bastano pochi gesti , ed è vero. Prendere l’impegno di compiere piccoli gesti con costanza ed assiduità  è il primo passo per trasformare una difficoltà iniziale in una buona abitudine consolidata e aprono la mente alle possibili alternative. Pare impossibile vivere senza determinati apparecchi e l’idea non è certo di tornare al Medioevo o di fare tutto a mano, la società si è talmente trasformata che sarebbe veramente complicato, ma imparare ad usare e non abusare. Lo stimolo maggiore è capire che è per il bene di tutti.

Volere è potere e  nulla è impossibile dicono i saggi. Certo è che forse non ci siamo più così abituati, ma una strada alternativa c’è, occorre riorganizzarsi in questo senso. Così ecco un giorno in cui non solo ai vertici, ma tutti siamo chiamati a sperimentare, almeno per qualche tempo l’assenza di ciò che pare indispensabile.

I bisogni

Qual’è il tuo bisogno?

Questo tema mi affascina davvero molto, per esperienza personale quando chiedo ad una persona “Qual è il tuo bisogno?” la risposta stenta ad arrivare, dopo un attimo di riflessione la risposta è: “Non lo so”.

Non conosciamo i nostri bisogni spesso perché non ci fermiamo ad ascoltarci ed anche perché la ns educazione non ci ha abituati a questo. Quando impariamo a riconoscere i nostri bisogni diventiamo anche più empatici e comprensivi nei confronti dell’altro perché siamo in grado di riconoscere anche i suoi.

Che cos’è un bisogno? E quali sono i bisogni dell’essere umano?

Il bisogno è una sensazione sgradevole che deriva dalla mancanza di qualcosa di necessario alla vita. I bisogni nascono dall’ esigenza di alleviare delle “tensioni” di ordine fisico (come la fame, la sete, il sonno, ecc.) e di ordine psichico (come il bisogno di sicurezza, di affermazione, di appartenenza ad un gruppo, ecc.). Uno studio molto semplice e molto efficace è quello di Abraham Maslow, psicologo americano contemporaneo.

Ha studiato per anni le motivazioni dell’essere umano e ha elaborato la teoria conosciuta come “la piramide dei bisogni”. Maslow ha elaborato una classificazione dei bisogni dell’essere umano distinguendoli in 5 categorie (sintetizzandoli)

Quando ci sentiamo in difficoltà per qualcosa o litighiamo/discutiamo con qualcuno spesso dietro chi sta un bisogno nascosto, non soddisfatto, allora fermiamoci un attimo, facciamo un lungo respiro ad occhi chiusi con le mani sul cuore e chiediamoci: “qual è il mio bisogno non soddisfatto?”, ascoltiamo cosa succede al nostro corpo, quali sono i messaggi che ci arrivano.

Pensiamo che i bisogni debbano essere chissà cosa per chiamarsi tali ma sono le cose semplici le più importanti e fondamentali per un buon equilibrio e centratura in noi stessi. “Quando, con il nostro comportamento, non abbiamo soddisfatto un nostro bisogno, è molto più probabile che impariamo qualcosa dalle nostre azioni se riusciamo ad identificare quel bisogno, perché, senza perdere il rispetto per noi stessi possiamo iniziare ad immaginare in quale altro modo avremmo potuto meglio soddisfarlo…” (tratto dal libro “Parlare Pace” di Marshall B. Rosenberg)

E tu conosci i tuoi bisogni?

Debora Forbici- Counselor Olistico opera presso La Ninfea

Scopri le date consultando il calendario di Bresciabimbi o all’articolo “Come stai?”

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Ti regalo una carezza

TI REGALO UNA CAREZZA

Un piccolo panorama sul massaggio neonatale

(di Alberti Giada, ostetrica e insegnante AIMI)

 

Nel patrimonio culturale di molti Paesi, il massaggio del bambino costituisce una tradizione antica, tramandata di madre in figlia.

Negli ultimi anni, grazie agli studi sempre più numerosi sulla comunicazione tattile e sulla relazione tra genitore e bambino, il massaggio infantile è stato riscoperto in tutta la sua importanza.

L’evidenza clinica e recenti ricerche hanno, infatti, dimostrato che il massaggio comporta numerosi effetti benefici sullo sviluppo e sulla maturazione del piccolo.

Un articolo riguardante uno studio effettuato in Italia sul massaggio infantile, afferma infatti che “ Dieci minuti di massaggio e il bambino cresce meglio”; l’autore dell’articolo è il giornalista scientifico Alex Saragosa, la rivista è il Venerdì di Repubblica, con data 29/05/2009. Grazie ad un contatto più profondo, dunque, è possibile proteggere e stimolare la crescita e lo sviluppo del proprio bambino. La scoperta e la diffusione del massaggio infantile in Occidente si deve alla passione e all’entusiasmo di una donna statunitense, Vimala McClure (in foto), che ha appreso le modalità di questa tecnica durante un periodo di lavoro in un orfanotrofio in India.

In Italia, fra le associazioni che se ne occupano, c’è l’AIMI, l’Associazione Italiana Massaggio Infantile, fondata a Genova nel 1989, che fa parte dell’International Association Infant Massage (IAIM), l’organizzazione creata da Vimala nel 1976, che riunisce varie associazioni nazionali presenti in diversi Stati del mondo.

Il massaggio AIMI deriva dal massaggio tradizionale indiano, ma riprende anche le sequenze del massaggio svedese, elaborate da Per Henric Ling (1800), oltre allo yoga e ad elementi della riflessologia plantare.

Come anticipato inizialmente, l’esperienza del massaggio neonatale pemette di godere di molteplici benefici:

 favorisce il legame di attaccamento e rafforza la relazione genitore-bambino, poiché costituisce un’esperienza di profondo contatto affettivo

 favorisce uno stato di benessere e di rilassamento nel bambino e nel genitore

 fa sentire il bambino contenuto, sostenuto ed amato

 promuove una maggiore comprensione e un ascolto più profondo dei bisogni del bambino

sostiene nell’arte di essere genitori

 promuove nel bambino la conoscenza delle varie parti del corpo, aiutandolo ad acquisire consapevolezza corporea e un’equilibrata immagine di sé

 aiuta il bambino a scaricare e dare sollievo alle tensioni provocate da situazioni nuove, stress o piccoli malesseri

 stimola, fortifica e regolarizza il sistema circolatorio, respiratorio, muscolare, immunitario e gastro-intestinale

 previene e dà sollievo al disagio delle coliche gassose

 è un buon sostegno nei disturbi del ritmo sonno-veglia

 

L’AIMI organizza periodicamente corsi di massaggio infantile, rivolti a genitori di bambini da 1 a 12 mesi circa di età, che si svolgono in strutture pubbliche o private, come asili nido, consultori, ospedali e case private.

I genitori, a seconda delle esigenze, possono scegliere tra due diverse tipologie di corso:

 Individuale a domicilio

 In piccoli gruppi di genitori e bambini (massimo 6 nuclei famigliari)

I corsi sono articolati in 5 incontri, della durata di circa novanta minuti, che offrono ai genitori:

 apprendimento pratico della sequenza completa dei massaggi

 apprendimento di modalità che possono dare sollievo al bambino che soffre di stipsi, meteorismo,coliche addominali e pianto

 lavoro sul rilassamento del bambino

 apprendimento dei benefici del massaggio per il neonato e per il bambino più grande

 momenti di riflessione sul rafforzo del legame

 esperienze di comunicazione non verbale stimolate dal massaggio: sorriso, contatto visivo, contatto attraverso la pelle

 adattamenti del massaggio per il bambino più grande

L’obiettivo principale dei corsi di massaggio infantile è quello di promuovere e sostenere il contatto e la comunicazione profonda, aiutando il genitore ad ascoltare e comprendere meglio il linguaggio del proprio piccolo.

In conclusione, il corso costituisce per il genitore un’occasione preziosa per scoprire e imparare ad ascoltare i segnali del proprio bambino, così da accoglierne i bisogni in modo attento e rispettoso.

Inoltre è uno spazio di incontro, in cui i genitori hanno l’opportunità di confrontarsi e condividere la propria esperienza, superando insieme le difficoltà incontrate nei primi mesi dopo la nascita.

 

E’ possibile iscriversi ad un corso contattando l’insegnante AIMI.

Alberti Giada

cellulare 3892815350

tel. fisso 0302130179

giada.alberti@aimionline.it

Il complesso di Edipo

A tutti noi capita spesso di sentire nominare il “complesso edipico” in televisione, leggendo libri, giornali, parlando con altre mamme o insegnanti. Ma sappiamo realmente di cosa si tratta? Ora, ripercorrendo il mito stesso di Edipo e la trattazione di Freud la nostra esperta, al dott.ssa Tania Vetere, ce ne darà una spiegazione.

IL COMPLESSO EDIPICO

IL MITO DI EDIPO (Secondo un racconto di Sofocle)

“A Laio e Giocasta, sovrani di Tebe, fu predetto dall’oracolo che loro figlio avrebbe ucciso il padre e sposato la madre. Intimoriti da questa previsione, affidarono il neonato ad un pastore che avrebbe dovuto abbandonarlo ma questi, intenerito dall’innocenza della piccola creatura, lo portò a Corinto, dove fu adottato da Polibo, re della città, il quale pur essendo sposato non era ancora riuscito ad avere figli. Un giorno accadde che Edipo, cresciuto e istruito a corte come un vero e proprio principe, si sentì accusare di essere un bastardo, ed egli, preoccupato e incuriosito, andò a chiedere spiegazioni all’oracolo di Delfi che gli comunica la profezia secondo cui, un giorno, si macchierà dell’omicidio di suo padre e sposerà sua madre. Edipo, convinto di essere figlio dei sovrani di Corinto, per evitare che la predizione potesse compiersi, scappa verso Tebe. Lungo la strada ha una disputa con un nobile locale, che si rivelerà poi essere Laio, re di Tebe e padre naturale di Edipo, che si conclude con la morte di quest’ultimo per mano del figlio. Arrivato a Tebe, suo paese nativo, la trova infestata dalla Sfinge, un mostro che, insediatosi nel centro della città, poneva domande a tutti coloro che gli passavano dinanzi, uccidendo chiunque non avesse saputo rispondere. Edipo riesce a rispondere esattamente all’enigma sottopostogli dal mostro (*L’enigma della Sfinge*), che di conseguenza, sconfitto, si uccide. Per aver liberato la città dal mostro, viene nominato principe e sposa Giocasta, inconsapevole del fatto che fosse la sua madre naturale, e ne ha quattro figli. All’arrivo di una pestilenza, Creonte, il fratello di Giocasta, si reca dall’oracolo per conoscere i motivi dell’epidemia, e questo gli rivela che la causa è la presenza di un patricida in Tebe; tornato in città informa la sorella ed Edipo, e quest’ultimo s’incarica di provvedere. Si rivolge a Tiresia, una veggente che prova in tutti i modi a dissuadere il re di Tebe dal voler conoscere la verità, ma poi gli rivela che il colpevole in realtà e lui stesso. Dopo aver messo a confronto varie testimonianze, conscio delle proprie colpe, Edipo si accieca, mentre la madre si toglie la vita.”

Il complesso di Edipo è un concetto originariamente sviluppato nell’ambito della teoria psicoanalitica di Sigmund Freud per spiegare la maturazione del bambino che conduce verso l’identificazione col genitore del proprio sesso passando attraverso il desiderio nei confronti del genitore del sesso opposto. Questa tappa si struttura come una delle fasi essenziali nella formazione della personalità e dell’orientamento del desiderio, ed è un vero e proprio organizzatore della vita affettiva presente e, soprattutto, futura. Ma non solo, esso conduce anche alla formazione del Super-Io, definito da Freud come la nostra “coscienza morale”, etica.

Questo fenomeno si basa sul mito greco di Edipo (riportato brevemente nel paragrafo precedente), il quale, a sua insaputa, uccise suo padre Laio e, altrettanto inconsapevolmente, sposò sua madre Giocasta. Nella concezione classica freudiana, infatti, il complesso edipico indica un insieme di desideri sessuali ambivalenti che il bambino prova nei confronti delle figure genitoriali: desiderio di morte e sostituzione nei confronti del genitore dello stesso sesso e desiderio di possesso esclusivo nei confronti del genitore di sesso opposto.

Relativamente alle fasi dello sviluppo psicosessuale (teoria freudiana), esso insorge durante la fase fallica, cioè dai 3 anni fino ai 5 anni circa.

La risoluzione (superamento) del complesso apre la via alle identificazioni, in particolare con il genitore dello stesso sesso, attraverso la rinuncia al soddisfacimento sessuale con il genitore di sesso opposto (divieto dell’incesto).

Il bambino, attraverso l’ammirazione e la gelosia per il genitore dello stesso sesso e per evitare il conflitto con lui e piacere alla madre, si identifica con il padre, mentre la bambina, per evitare il conflitto con la madre e piacere al padre, si identifica con la madre (definito da Freud “Complesso di Elettra”, versione femminile del complesso edipico). Attraverso questa dinamica di colpa, timore e identificazione, il bambino acquisisce la consapevolezza dell’appartenenza al genere sessuale, consolida cioè la sua “identità di genere”.

In conclusione: non spaventiamoci se capita che nostro/a figlio/a ci allontani per starsene solo/a soletto/a con l’altro genitore. Ora sappiamo che si sta realizzando un’importantissima tappa dello sviluppo personale del nostro bambino, limitiamoci ad accettarlo, aiutando quest’ultimo a viverlo nel migliore dei modi.

Dott.ssa Tania Vetere – Psicologa

E’ utile che i bambini continuino a scrivere a mano?

La nostra esperta di rieducazione della scrittura dott.ssa Dialiasa Salamone consiglia la lettura di questo articolo pubblicato da Adnkronos.com

 

E’ utile che i bambini continuino a scrivere a mano? La risposta è sì, anche in tempi di digitalizzazione ed uso sempre più estensivo del computer per vari aspetti della vita quotidiana. L’Accademia della Crusca, attraverso il suo periodico divulgativo “La Crusca per voi”, ospita il parere di Guido Gainotti, professore di neurologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che riafferma l’importanza e la validità dell’esperienza della grafia nei piccoli studenti.

“La scrittura è una delle attività che più hanno risentito del processo di digitalizzazione, poiché essa si è trasformata da un’attività manuale continua, compiuta con una penna, la cui punta scorreva su un foglio, in un’attività discontinua, basata sull’uso di una tastiera computerizzata – osserva il prof. Gainotti – Nel soggetto adulto questa sostituzione si è rivelata vantaggiosa, soprattutto per la maggiore rapidità che essa consente nella stesura del linguaggio scritto”.

In base ai presunti vantaggi che la digitalizzazione comporterebbe, si è fatta sempre più pressante la proposta di sostituire anche nel bambino l’apprendimento della scrittura manuale con quella basata sull’uso di una tastiera. Una proposta che lo specialista interpellato dall’Accademia della Crusca smonta decisamente.

Il neurologo Guifo Gainotti ricorda che sono state sollevate obiezioni sia di carattere neurobiologico (basate sullo studio dei meccanismi neurali che si svilupperebbero meglio in corso di una scrittura manuale che non di una scrittura tipografica) sia di carattere più genericamente psicologico circa l’impiego della tastiera al posto della grafia manuale in età infantile.

Ad esempio, alcuni autori hanno sostenuto che il riconoscimento di singole lettere sarebbe migliore in corso di apprendimento di una scrittura manuale che non imparando a scrivere su una tastiera, poiché le fini attività motorie compiute nel corso della scrittura manuale contribuirebbero al riconoscimento delle lettere stesse. In accordo con questa tesi, autori giapponesi hanno mostrato che la tendenza a scrivere manualmente aiuta a ricordare meglio la forma delle lettere. Per questa ragione, i bambini che imparano le parole scrivendole a mano le ricorderebbero meglio che non quelli che le imparano scrivendole su una tastiera.

Studi di risonanza magnetica funzionale (una metodica che permette di visualizzare le zone ‘attive’ del cervello) hanno chiarito il meccanismo responsabile di queste differenze. E’ stato, infatti, mostrato che le cortecce motoria e pre-motoria (coinvolte rispettivamente nell’esecuzione e nel controllo delle attività motorie) sono significativamente più attivate dalla presentazione di lettere scritte a mano che non da quella di lettere stampate, poiché queste strutture cerebrali sarebbero coinvolte non solo nell’esecuzione ma anche nell’analisi dell’attività grafica.

Risultati analoghi sono stati ottenuti dallo studio dei potenziali evento-correlati (onde cerebrali che si formano automaticamente in risposta a stimoli esterni) a livello della corteccia occipitale (sede della percezione visiva) in un compito che rifletteva la ‘familiarità motoria’ con le lettere osservate.

Anche questi risultati, spiega il saggio pubblicato sulla rivista “La Crusca per voi”, indicano che l’informazione motoria, contenuta nelle lettere scritte a mano, viene elaborata dal cervello e che questa elaborazione dipende dallo stato di attivazione della corteccia motoria corrispondente all’arto utilizzato nella scrittura. Si tratterebbe, quindi, di un aspetto particolare di un meccanismo più generale secondo cui l’osservazione dell’azione faciliterebbe la sua percezione visiva.

“A mio parere, anche trascurando il rilievo di questi dati sperimentali, appare molto discutibile la motivazione di base (la ricerca di maggiore rapidità nella stesura di una traccia scritta), che ha suggerito di sostituire nel bambino l’apprendimento di una scrittura manuale con una compiuta su una tastiera – sostiene – Guido Gainotti – Una scrittura più lenta permette, infatti, una più accurata elaborazione del pensiero che si intende esprimere graficamente, mentre una scrittura più rapida può indurre a una maggiore superficialità e a un più frequente ricorso ad espressioni stereotipate”.

Inoltre, una scrittura più veloce, argomenta il professore Gainotti, “rischia di far un minor uso di quelle funzioni di controllo che permettono di raggiungere una maggiore sintonia fra il pensiero che prende forma nel corso della scrittura e la sua realizzazione grafica”.

“Ora, in una società sempre più complessa come quella contemporanea, in cui paradossalmente la quantità prevale nettamente sulla qualità, ed in cui la rapidità di esecuzione è uno dei fattori che contribuiscono a questo squilibrio, noi riteniamo che un ruolo fondamentale sia svolto dai modelli di sviluppo cognitivo proposti per la costruzione ed il funzionamento di una mente che tende a raggiungere la propria maturazione”.

“Se vogliamo incrementare le capacità di riflessione e di approfondimento, necessarie per l’analisi di situazioni complesse e per l’elaborazione di risposte adeguate, dobbiamo concedere al cervello infantile i tempi necessari per tali elaborazioni, onde abituarlo a tale modalità di funzionamento – spiega il neurologo – Se, invece, vogliamo contribuire ad un’ulteriore velocizzazione di un sistema che corre senza avere consapevolezza dei punti di arrivo della propria corsa e delle conseguenze di lungo termine delle proprie scelte, possiamo privilegiare soluzioni che riducono i tempi a discapito delle funzioni di elaborazione e di controllo”.

Conclude il neurologo Guido Gainotti: “Evidentemente, non riteniamo che la scelta fra scrittura a mano e scrittura tipografica giochi un ruolo importante in questo senso, ma riteniamo che, comunque, essa faccia parte di un sistema di scelte, di cui dobbiamo tener conto nella valutazione consapevole del tipo di società verso cui vogliamo andare”

www.adnkronos.com/accademia-della-crusca-scuola-bimbi-continuino-scrivere-mano

 


Dott.ssa Dialisa Salamone
Grafologa, Rieducatrice della scrittura dal 2003
telefono: 346 323 85 71
info@disgrafia-verona.it
www.disgrafia-verona.it

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Mutismo selettivo

Interessante analisi sul mutismo selettivo proposta da Adriana Cigni per il blog maestraemamma.

Il mutismo selettivo

di Adriana Cigni

Qualche giorno fa mio figlio mi ha sottoposto  ad una raffica di richieste concernenti una ricerca sul Rinascimento italiano (fra l’altro proposta da me in un momento di “orgoglio patriottico”). Dopo averlo rassicurato sui tempi, la scelta delle illustrazioni e la definizione dei termini ho riflettuto sull’agitazione e la paura che si nascondeva dietro a questo “compito”: ricerca sul Rinascimento Italiano.

Questo episodio ovviamente banale, mi ha dato lo spunto per definire  il tema di questo articolo: il mutismo selettivo. Ho capito che quando  la preoccupazione per gli avvenimenti futuri  raggiunge livelli massimi, diventa ansia. So che non è una grande scoperta  e ci saranno tomi e tomi di libri di psicologia a tale proposito ma credo che, nel caso del bambino  mutico, quest’ansia sia incontrollabile e diventi paura: paura di tutto ciò che può accadere fuori dal proprio spazio protetto, paura della novità, degli sconosciuti e della scuola . Forse i bambini che soffrono di mutismo selettivo, che viene appunto definito un disturbo legato all’ansia, provano proprio questo.

Questi bambini che non parlano a scuola  mentre a casa sono delle macchinette inarrestabili, questi bambini  che sembrano trasformarsi in statue di ghiaccio in classe, forse hanno solo tanta paura. Per la maggior parte dei casi questa paura non è giustificata da fatti reali , possiamo “indagare” , assicurarci che nessuno gli abbia fatto del male: non la maestra, non i compagni, nessuno.

continua a leggere l’articolo: Mutismo selettivo

“Mamma, quel bambino mi picchia!”. Il fenomeno del bullismo

Recentemente si sente molto parlare di bullismo, viene in notrso aiuto nella riflessione la psicologa Tania Vetere. Buona riflessione a tutti!

“Mamma, quel bambino mi picchia!” – il fenomeno del bullismo

Il termine bullismo deriva dall’inglese “Bullying” e si riferisce a un’oppressione psicologica o fisica perpetuata da una persona – o da un gruppo di persone – più potente nei confronti di un’altra persona percepita come più debole.

Tutti noi, genitori, insegnanti, amici, parenti, ci ritroviamo spesso a domandarci fino a che punto un ragazzino/bambino possa essere considerato semplicemente “vivace” oppure “preoccupante”; nel momento in cui notiamo comportamenti aggressivi, oppositivi, provocatori, ci spaventiamo, non riusciamo distinguere nettamente ciò che rientra nella “normalità” da ciò che potrebbe trasformarsi in “patologico”, non siamo certi del limite che differenzia queste due realtà.

Gli studi condotti sull’argomento riportano che la differenza tra le normali dispute tra bambini e gli atti di bullismo veri e propri consiste nella predeterminazione e – dunque – nell’intenzionalità che caratterizza questi ultimi, nella ripetitività nel tempo, nonché nella soddisfazione che gli autori di tali abusi ne traggono. E’ inoltre implicito un tratto sadico tipico di tali comportamenti ed esiste quasi sempre uno squilibrio di tipo fisico o numerico tra il bullo e la sua vittima.

Come forse già sappiamo, ciò che caratterizza questo fenomeno è anche il fatto che la maggior parte di questi atti si verifica nelle scuole, in particolare nei corridoi e nei cortili di queste, ma anche nei pressi degli istituti scolastici o comunque nei luoghi frequentati dai gruppi di bambini.

Sembrerebbero esistere delle differenze di genere significative: i bulli sono prevalentemente maschi, ma esiste altresì una notevole percentuale di femmine in grado di mettere in atto comportamenti di bullismo; le ragazze parrebbero preferire il bullismo nella forma verbale e ancor più in quella indiretta (isolamento sociale, dicerie sul conto della vittima, calunnie e Cyberbullismo), piuttosto che in quella fisica, più prettamente maschile.

Tra le conseguenze più comuni che riguardano le vittime del bullismo spiccano la perdita di autostima e di sicurezza: questo vissuto di disagio e di stress può portare a sviluppare sintomi psicosomatici tipici dei disturbi da stress, quali mal di testa, mal di pancia/disturbi gastrico-intestinali, disturbi del sonno e pavor nocturnus (terrore notturno), disturbi d’ansia, fino a veri e propri attacchi di panico.

Questa condizione può influire negativamente anche sullo sviluppo delle capacità di concentrazione e, dunque, di apprendimento. Nei casi più gravi il vissuto traumatico e depressivo può indurre le vittime a metter in atto comportamenti a rischio che talvolta possono portare anche a gravi fenomeni di autolesionismo, poiché la vittima arriva ad autocolpevolizzarsi per l’accaduto, e persino alla morte (tentativi di suicidio). Questo rischio è davvero molto elevato, come ci conferma la triste cronaca sull’argomento.

Per quanto riguarda la prevenzione di questo fenomeno, sempre più presente nella nostra quotidianità, le ricerche sottolineano l’importanza di interventi focalizzati sui genitori e sul loro stile educativo; inoltre rilevano la necessità di investire risorse in programmi preventivi finalizzati alla promozione dei comportamenti prosociali nelle varie fasi dello sviluppo. Infatti, atteggiamenti e comportamenti prosociali contribuiscono all’attivazione di processi di mediazione utili per la costruzione di un buon adattamento scolastico e sociale.

Pensiamo ora ad uno dei tanti casi di bullismo, quello avvenuto a Roma poche settimane fa che vede protagonista un bambino di 5 anni (link: http://www.huffingtonpost.it/2015/02/19/bambino-bullo-asilo_n_6711612.html): una delle maestre stava cercando (sembrerebbe anche con successo) una soluzione al comportamento aggressivo del bambino con la collaborazione dei genitori; la madre difende “a spada tratta” il figlio, pur non essendo in grado di fornire giustificazioni attendibili (“Mio figlio è più bello dei vostri!”); i genitori degli altri bambini della classe lo accusano di essere un “bullo violento” ed allontanano i figli da lui. Potremmo chiederci dove stia la verità, chi abbia ragione, chi abbia torto, da dove scaturisca il comportamento aggressivo del bambino e se sia effettivamente un caso di “bullismo”.

Certamente in questa sede nessuno di noi è in grado di dare una risposta certa! Ma ciascuno può indubbiamente riflettere su quante differenti interpretazioni e punti di vista possano scaturire da un singolo episodio…

Dott.ssa Tania Vetere – Psicologa

Tutte le frasi che fanno infuriare i nostri figli

Tutte le frasi che fanno infuriare i nostri figli

Piccola guida e certamente aiuto alla riflessione sulla comunicazione coi figli, per renderla più efficare!

Buona lettura

Molte sono le frasi che diciamo ai nostri figli senza pensarci, per abitudine, perché non ci siamo mai fermati ad analizzare il messaggio che trasmettono: “Te l’avevo detto!”; “Guarda tuo fratello…”; “Mai una volta che si possa contare su di te!”; “Non sei capace di stare attento?”; “Cerca di non farmi fare brutte figure.” Questo libro è un manuale semplice sulla comunicazione tra noi genitori e i nostri figli, che ci aiuta a metterci nei panni dei ragazzi per capire qual è il messaggio che arriva loro quando usiamo certe frasi.

di Laniado Nessia

ed. Red Edizioni (2005)

I disobbedienti

Vi sottopongo questa piccola ricerca,condotta da Sonia Cecchin che parla e spiega la disobbedienza in modo semplice (Marco V. Masoni  www.formazione-studio.it )

Buona riflessione!

“IL DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO”

 

Secondo il  DSM V(Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders),i criteri del disturbo oppositivo provocatorio sono stati riorganizzati in tre distinte categorie:

  • umore rabbioso/irritabile,
  • comportamento ostinato/oppositivo
  • comportamento vendicativo

Bene… Non posso fare a meno di chiedermi se, nella mia  carriera di insegnante, io abbia incontrato questi ragazzi, se sono gli stessi che noi da sempre abbiamo definito come  monelli, teste dure, ostinati, polemici, provocatori, disobbedienti, ecc. ecc.

Ben inteso non voglio semplificare o sminuire quella che, in un testo autorevole e accredidato, viene definita una  patologia che richiede cure specifiche psicoterapiche e anche farmacologiche nei casi più gravi. Ho personalmente sperimentato  che alcuni ragazzi che ho conosciuto, (sembra che l’incidenza dei casi si registri più nel sesso maschile)  ridimensionino il loro” disturbo” nel momento in cui si introduce un cambiamento nel modo di gestire la relazione educativa. Probabilmente ciò è stato possibile perché ho avuto a che fare con casi non troppo “gravi”. La soluzione da mettere in atto sembrerebbe semplice, ma nella pratica non lo è, richiede allenamento e non solo. Io mi sono allenata molto fin da quando, a 19 anni, ho iniziato ad insegnare in una scuola elementare del quartiere Comasina di Milano. A quei tempi tornavo a casa spesso in preda allo sconforto. Mi avevano assegnato una supplenza annuale in una  quarta elementare; sulla porta della classe c’era scritto in una grafia stentata:” Noi siamo la classe che manda via tutte le supplenti”! Era vero, ci erano riusciti, io ero la terza nel giro di 10 giorni. Ci misi circa un mese a stabilire quello che oggi viene chiamato “setting d’aula”!!! Ricordo il momento: fu quando il leader indiscusso della classe (un ripetente di 12 anni) disse:”Silenzio!Parla la Sonia!” Non avevo allora alcuna esperienza né alcuna “teoria di riferimento”, mi supportava solo un diploma di Istituto Magistrale una grande motivazione a fare questo mestiere. Oggi insegno in un Liceo, non so se alcuni ragazzi/ ragazze con cui ho avuto e ho a che fare si possono definire affetti da un lieve o significativo disturbo oppositivo provocatorio che si manifesta nelle sue diverse declinazioni, so però che è possibile “guarire”o per lo meno i “sintomi”, in ambito scolastico, possono essere fortemente attenuati. I diversi contesti di relazione  possono farli insorgere, contenere o , in alcuni casi, li possono far scomparire.

Non credo di aver titolo per  indicare “la terapia…”. Dai commenti dei ragazzi è facilmente intuibile cosa occorre fare… Beh certo io un’idea un po’ me la sono fatta in quasi 30 anni di insegnamento!!!

Però visto che quando non si è sicuri di una cosa su qualcuno/qualcosa è sempre meglio chiedere, ho intervistato circa 80  ragazzi e ragazze sul tema della disobbedienza/obbedienza.

Ho registrato le risposte e le affermazioni più ricorrenti condivise dal mio campione.

Il tema del rispetto, della dignità, dell’attribuzione di senso, di significato, della modalità/stile di relazione e di leadership sembrano essere le variabili più significative.

Niente di particolarmente nuovo. Per me la conferma della validità e dell’efficacia di un approccio che pratico quotidianamente, che ho imparato ad applicare e ad affinare non senza qualche difficoltà e qualche insuccesso!

Ecco cosa ne pensano gli studenti.

 Io obbedisco più facilmente se..

  • Me lo chiedono in modo gentile ed educato.
  • Non mi fanno sentire uno stupido.
  • Se chi me lo ordina è una persona di cui ho stima e rispetto, se è così faccio anche cose che non mi piacciono.
  • Se quello che mi ordinano lo capisco.
  • Se ha un senso per me.
  • Se a chi ordina gli ho visto fare quella cosa. Se mi dà l’esempio.
  • Se ho scelto di obbedirgli.
  • Se non usano il tono dell’ordine e non gridano.
  • Se non mi fanno sentire un bambinetto.
  • Se mio padre mi guarda in un determinato modo…quando è così è meglio che obbedisca!
  • Se vado “giù” ( in vacanza al Sud) ho notato che si obbedisce di più. Lì non si discute, si obbedisce e basta.

Le persone che chiedono obbedienza devono essere: 

  • democratiche,carismatiche ,empatiche
  • Se sono prof. devono anche trasmettere passione e competenza.
  • Per esempio noi a lei obbediamo perché…Perché non so è diversa dagli altri, ha uno stile…strano e poi ci ascolta. A volte sembra che lei entri nelle nostre teste, sa già quello che pensiamo. Non so lei.. Lei va un po’ contromano!!!

Ho disobbedito quella volta che…

  • Ho sentito che voleva proprio impormelo!
  • Ho sentito come un malessere era proprio ingiusto.
  • Non teneva conto del mio bisogno, c’era solo il suo…
  • C’erano troppe regole da rispettare.
  • Mi stava proprio antipatico, soprattutto il suo tono.
  • Non capivo il perché, mi sembrava così assurdo, insensato.
  • Una sera mio papà mi ha detto di caricare la lavastoviglie perché mia madre era stanca. Se fosse stato per mia madre l’avrei anche fatto. Siccome me lo ha detto mio padre che stava “spaparazzato” sul divano, ho detto di no. Quando vedrò anche lui caricare la lavastoviglie lo farò…
  • Avevo bisogno di andare in bagno e siccome con la Prof. X non dobbiamo chiedere il permesso perché interrompiamo la lezione, ho fatto così anche con la Prof. Y. Lei si è arrabbiata e ha detto che io sono tenuto a chiederle il permesso. Gli ho risposto che mi pareva assurdo chiedere il permesso per andare in bagno se uno ne ha bisogno. La prof. mi ha messo una nota!
  • Io obbedisco al mio allenatore perché c’è una ragione. Lui mi deve preparare ed è più competente di me.
  • Se dovessi per assurdo arruolarmi in un esercito certo che obbedirei, sta nei patti.
  • Io obbedisco e ascolto le persone che per me sono dei modelli di riferimento.
  • Non volevo andare al primo banco come mi aveva detto il Prof., mi sono sentito giudicato come uno che è disattento, ma non era vero! Così gli ho detto quello che pensavo, che mi sembrava una richiesta assurda e inutile. Mi ha detto di non fare lo strafottente, anch’io gli ho detto di non farlo con me. Poi sono andato al primo banco e mi sono pure preso una nota perché ero stato offensivo e maleducato. Ma se me lo avesse chiesto in modo diverso io non avrei fatto così, mi sono innervosito.
  • Quando continuano a dirmi cosa devo fare, va a finire che non faccio niente.
  • Una volta mia madre mi ha detto di mettere a posto la stanza e io,  visto che era davvero incasinata, mi sono messa a farlo. Mentre lo facevo è entrata e ha detto:” Non studi?” Ho smesso di riordinare e non ho nemmeno studiato!

Sonia Cecchin

L’ansia nei bambini: ossessioni e rituali

L’ansia nei bambini a volte può manifestarsi in forme molto particolari che possono mettere i genitori alla prova nel capire la differenza tra normalità e disturbo.

Cosa è l’ansia

Vorrei cominciare specificando che l’ansia è in generale una sorta di silenzioso malessere e la maggior parte delle persone che ne soffre tende a nasconderla.

Nei bambini può esprimersi con sintomi diffusi o specifici, può essere proiettata sulle relazioni sociali, può avere come oggetto il corpo oppure la mente e i suoi pensieri reali o irrazionali.
Sai bene che è impegnativo essere genitore di un bambino ansioso proprio perché a volte non sei  in grado di capire quale sia l’origine del suo timore.

Il bambino percepisce una sensazione di pericolo imminente che minaccia il suo stato di benessere.

Come di manifesta l’ansia nei bambini piccoli

Nei bambini piccoli l’ansia può presentarsi con:

  • disturbi dell’alimentazione
  • disturbi del sonno
  • irritabilità e agitazione
  • difficoltà a separarsi dal genitore.

Sono bambini che tendono ad essere poco esplorativi nel gioco e possono assumere dei comportamenti controllanti.

Come di manifesta l’ansia nei bambini in età scolare

In età scolare l’ansia comporta anche:

  • difficoltà di concentrazione,
  • affaticabilità
  • preoccupazione del giudizio degli altri
  • perfezionismo
  • comportamenti compulsivi
  • lamentele somatiche.

In questa fase possono essere presenti anche sentimenti depressivi che insieme all’ansia influenzano l apprendimento.

In generale il bambino che soffre di ansia si sente insicuro riguardo alla proprie capacità, è molto diffidente e ha paura di essere sopraffatto dalle proprie emozioni.

Ma affrontiamo adesso l’argomento dell’articolo.

Quando l’ansia trasforma i rituali dei bambini in ossessioni

Forse ti sei chiesto molte volte perché tuo figlio non esce di casa se non ha  spento e riacceso l’interruttore un numero preciso di volte, oppure perché ogni volta che rientra in casa si lava ripetutamente le mani e mostra un’eccessiva preoccupazione dello sporco, oppure perché evita di toccare i giochi degli altri bambini o di andare a casa di questi ultimi, oppure perché riordina e ricontrolla le sue cose in maniera ossessiva come un rituale fino a che gli oggetti non sono posizionati  in modo “giusto”; ecc.

In una certa misura i comportamenti ossessivi sono normali nei bambini (come non calpestare le righe, contare tutti gli scalini, le mattonelle, ecc.);  quando però questi comportamenti diventano molto invasivi e fastidiosi tali da bloccare lo svolgimento delle azioni quotidiane o un rallentamento delle stesse, bisogna considerarli da un’altra prospettiva.

Questi bambini infatti trascorrono molto tempo in attività che richiederebbero normalmente pochi minuti.

Sono in qualche modo “intrappolati” in queste idee ossessive:

  • contaminazione
  • ordine
  • controllo
  • accumulo
  • superstizione

che si intromettono in maniera indesiderata e senza apparente motivazione contro la volontà del bambino. Sono accompagnati da un sentimento d’ansia (indotto dal contenuto dell’ossessione stessa).

I comportamenti ripetitivi (ad es. lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni mentali (ad es. contare, ripetere parole mentalmente, ecc.) sono messi in atto dal bambino quasi in modo obbligato in risposta ad un’ossessione, a prevenire l’ansia o il disagio o prevenire alcuni eventi o situazioni temuti.

Va da sé che “questi comportamenti o azioni mentali non sono collegati in modo realistico con ciò che sono designati a neutralizzare o a prevenire, sono chiaramente eccessivi.” (APA, DSM-5)
I bambini piccoli possono non essere in grado di articolare le ragioni di questi comportamenti manifestando una scarsa consapevolezza.

Quando le ossessioni e i rituali compulsivi causano un disagio clinicamente significativo e una compromissione del funzionamento in ambito sociale o in altre aree importanti, quando i membri della famiglia involontariamente assecondano la sintomatologia diventando parte dei rituali, possiamo parlare di un disturbo ossessivo compulsivo meglio conosciuto con l’acronimo DOC.

Nella maggior parte dei casi coinvolge in numero maggiore i maschietti e può manifestarsi in compresenza di un disturbo da deficit di attenzione/iperattività e/o disturbi dell’apprendimento.

Suggerimenti per genitori

Alcuni suggerimenti per i genitori:

  • È importante non etichettare il bambino come uno che fa “cose strane”
  • Non assecondare il bambino nel rituale
  • Non minimizzare il problema ma consultare uno specialista quando i  comportamenti si manifestano con una frequenza tale da invalidare e limitare il bambino e la famiglia nelle attività di vita quotidiana.
  • Evitare di negare ma parlare del doc come di qualcosa esterno a lui che lo spinge a fare le cose, magari dandogli anche un nome buffo come “brainbug” , baco della mente!

 

 

di Enrica Ciullo

fonte: www.forepsy.it

Giocare con la sabbia: un’esperienza per il corpo e la mente

Ricordate la prima volta che avete giocato con la sabbia?

E quali sensazioni vi provocava?

E’ iniziato così il workshop, Giocare con la sabbia, che si è tenuto a Brescia il 17 Gennaio, organizzato dall’Associazione EMMI’S CARE e condotto da Francesca Romana Grasso,EDUFROG.

Il gruppo di partecipanti composto da educatrici, insegnanti, coordinatrici di asili nido e psicomotriciste, è stato guidato in un percorso dove ha potuto vivere in prima persona esperienze di gioco con la sabbia e momenti di confronto con il gruppo, affrontando tutti gli aspetti caratteristici del gioco con la sabbia: il corpo e l’emozione, lo spazio e i materiali.

Attraverso il gioco con la sabbia i bambini ritrovano una lentezza e un’attenzione verso il piacere, che accompagna tutti i movimenti del corpo, sostenendo la varietà di macro e micro movimenti; i materiali di qualità, piacevoli da vedere e da utilizzare, offrono infinite azioni e possibili esperimenti al bambino, da vivere secondo la sua personale iniziativa e autonomamente.

L’hanno vissuto in prima persona le partecipanti al workshop, affondando le mani nella sabbia, contenuta in bellissime ceste, rivestite da morbido tessuto di cotone.

Ognuna ha potuto prendersi del tempo per osservare la sabbia che scendeva da un setaccio in acciaio, per riempire contenitori di vetro con piccoli cucchiaini antichi, per disegnare con le mani nelle sabbia o con una conchiglia: azioni e giochi infiniti.

Alcune spontaneamente hanno giocato occupando un certo spazio, con alcuni materiali, senza invadere l’altro, altre hanno giocato condividendo esperienze, idee e azioni.

L’esperienza con la sabbia offre al bambino la possibilità di fare un numero incredibilmente vario di esperienze logiche, matematiche, fisiche ed emotive che rappresentano una forma di apprendimento primordiale, sostenuta dal piacere dell’azione, favorisce la ibera espressione del bambino, la sua intenzionalità e volontà, sostenendo la costruzione della fiducia in sé.

Il ruolo dell’adulto è essenziale: non deve intervenire o interrompere l’attività del bambino, ma allestire con attenzione e cura l’ambiente, scegliendo materiali di qualità e offrendo il tempo necessario a ogni bambino. Principi, che grazie all’esperienza diretta con il gioco con la sabbia, hanno mosso all’interno del gruppo di partecipanti al workshop, alcune riflessioni sull’importanza che il linguaggio ha in ogni cosa che facciamo, in ogni luogo o situazione, con ogni persona; l’adulto deve scegliere con attenzione le parole da utilizzare per raccontare ciò che osserva di un bambino, cogliendo in modo oggettivo e per nulla giudicante ciò che vede.

Un’altra grande riflessione emersa grazie ai vissuti delle partecipanti, riguarda il modo dell’adulto di osservare e cogliere le azioni-emozioni dei bambini: domandarsi “Chi è?” questo bambino “Cosa sta facendo??”…anzichè “Che cosa voglio fargli fare??” o “ Cosa vorrebbe fare?”, favorisce una lettura obbiettiva, positiva e attenta dell’espressione del bambino, della sua personale storia.

Gli adulti dovrebbero sempre accogliere empaticamente le azioni dei bambini, senza interpretarne l’intenzionalità, o intervenendo, ostacolando lo spazio e i tempi necessari per esperienze piacevoli.

Francesca, conduttrice del work shop, nel pomeriggio di sabato, ha proposto alle partecipanti l’importante contributo della pediatra Emmi Pikler in merito allo sviluppo motorio spontaneo del bambino e il prezioso lavoro di Ute Strub sul gioco con la sabbia, un momento formativo, ma anche di riflessione e che ha acceso alcune domande:

esistono momenti in cui il bambino è libero di scegliere quale attività vivere?

l’adulto concede il tempo necessario, senza interrompere il bambino?

Gli ambienti famigliari ed educativi offrono spazi e materiali adatti alle fasi di sviluppo del bambino?

Per quali motivi sono scomparsi gli spazi dedicati al gioco con la sabbia, nei parchi, nei nidi, nelle scuole primarie e nei giardini di casa, così presenti , anche nel nostro paese, fino a pochi anni fa?

 

Alice Gregori

Psicomotricista

Associazione Emmi’s care

 

Il work shop sarà proposto nuovamente a Brescia, con un percorso di incontri di approfondimento, ricordiamo inoltre che è possibile richiedere una proposta formativa personalizzata, in loco, per equipe educative.

Conduttrice: Francesca Romana Grasso, pedagogista e dottore di ricerca in scienze dell’educazione (Edufrog) info@edufrog.it

Organizzazione: Associazione Emmi’s care info@emmiscare.org

 

Per continuare la riflessione, approfondimenti sono disponibili in questo articolo: Giocare con la sabbia, rispettare e nominare il libero movimento

 

Riflessioni proposte dalle esperte di  Edufrog e l’Associazione Emmi’s care che hanno deciso di raccogliere in questo breve articolo alcuni dei momenti del work shop proposto a Brescia lo scorso 17 Gennaio. Sperando che possa essere un momento di riflessione per tutti, l’articolo solleva tematiche importanti per chiunque si prenda cura della persona e per i professionisti che mirano ad un’educazione basata sull’accoglienza, il rispetto e la cooperazione.

 

Hai finito di tirarmi scemo

Bambini che non dormono, non mangiano, gridano senza motivo, vogliono solo gelati e patatine, sfrattano i genitori dal loro letto, rispondono loro male e in alcuni casi, li insultano: perché è così difficile essere genitori? E perchè i bambini sembrano fare sempre il contrario di quello che ci si aspetta da loro? Nella maggior parte dei casi quello che sembra un problema insormontabile può essere risolto facilmente. “Aggiustare” i comportamenti sbagliati è il mestiere di Nigel Latta e questa sua guida, corredata da casi di vita comune felicemente risolti, offre strategie semplici ma efficaci per insegnare il rispetto, togliere brutti vizi e pessime abitudini senza troppa fatica e sempre con moltissimo amore.

La giusta fatica di crescere

La giusta fatica di crescere

(Dalla prefazione di Goffredo Fofi)
In un’epoca in cui anche l’industria dell’infanzia si è prodigata per proteggere il bambino dalla “fatica” di sperimentare e di sbagliare, sono soprattutto la testa, il pensiero, l’affettività dei bambini che oggi rischiano malanni, carenze, inabilità, alimentando una generazione con forti contraddizioni: “senza sensi di colpa”, ma con grande “senso di inadeguatezza”, precocemente “grandi” e, insieme, fortemente dipendenti. In questo libro curioso, utile ed estremamente provocatorio, felicemente si intrecciano e si contaminano fra loro conoscenze psicologiche e pediatriche, di costume e letterarie, in uno stile di scrittura e di ricerca ironico, spumeggiante, capace di parlare a chiunque si muova, per lavoro o per diletto, nel vasto “pianeta bambino”. Dal ciuccio su misura alle scarpe senza lacci, dal termometro a infrarossi ai baby monitor: una miriade di “cose” oggi accompagna i bambini nei normali processi della crescita. Così gli autori, senza puntare l’indice contro i genitori, ma piuttosto mettendoli in guardia dai falsi alleati, affrontano il “linguaggio delle cose”, riflettendo sul mondo privo di ostacoli che gli adulti hanno creato per i loro figli, ormai indiscussi sovrani, e insieme vittime inconsapevoli, di tante e varie futilità.
Passando in rassegna l’impareggiabile Catalogo dei genitori di Claude Ponti – dai confortevoli ai fifoni, dagli avviluppanti ai  cicciomou – l’appello e i suggerimenti dei due autori si rivolgono a chi crede nella necessità che l’immaginazione abbia ancora posto nell’educazione e che serva restituire al bambino un suo fondamentale diritto: la giusta fatica di crescere! Le pagine in cui Manuela Trinci con Paolo Sarti raccontano e si raccontano, riflettono e analizzano, si commuovono o si adirano, sono amorose nella difesa del diritto dei bambini al rispetto e aspre nell’accusa, sia quando ironica sia quando veemente, a chi dice di amarli mentre va accanitamente tarpando le potenzialità e i talenti di cui sono portatori, in particolare, i bambini.

Cosa vogliono dire i disegni dei bambini

Grazie alla disponibilità e gentilezza del dott. Marco Vinicio Masoni pubblico il seguente articolo molto interessante sui disegni dei bambini

Cosa vogliono dire i disegni dei bambini

 Di Marco Vinicio Masoni

A volte le mamme mi portano i disegni dei loro figli. Vogliono una diagnosi. Vogliono che io assuma un’aria seria e che scruti attentamente i disegni (come hanno visto fare da altri “esperti”), e poi dica , per esempio: “Si vede, con estrema chiarezza, che qui il padre è assente”.

Ma l’unica cosa che riesco a pensare e a dire sono frasi di questo tipo: ”Bene, mi pare che suo figlio sia piuttosto dotato per il disegno”, oppure ”Certo, è un disegno infantile, quanti anni ha? …Quattro? Direi che è un disegno assolutamente adatto alla sua età”.

Ma la mamma insiste “Ma non vede che espressione ha questa faccia, e poi vede che c’è in alto un aereo che butta le bombe? Dottore , sono preoccupata…”
“Bene signora, – rispondo – ho disegnato più bombe io da bambino di quante ne abbiano sganciate nella seconda guerra mondiale, mi ritiene un serial killer?”
Finalmente la mamma sorride.
Ora, che i bambini vogliano dire qualcosa mentre disegnano è, io credo, assolutamente vero.
Non credo invece che il significato dei loro disegni vada al di là di quanto sta sul foglio, espresso in modo esplicito. Un aereo che sgancia le bombe è un aereo che sgancia le bombe e non “il segnale di un profondo disagio interiore, una aggressività che va fermata in tempo …”, ecc.
Spesso la comunicazione è diretta al pubblico presente in quel momento e a seconda della richiesta del pubblico o di quanto questo sia simpatico al il bambino, il contenuto e lo stile della comunicazione cambiano.
Qualche esempio?
Chiedo a un bambino di sei anni di disegnarmi una persona. Nel modo col quale faccio la richiesta sono presenti alcuni impliciti: voglio che tu faccia un bel disegno, un disegnino come si deve e come dovrebbe fare un bravo bambino, un disegno che mi faccia poi dire “Oh, che bella persona hai disegnato, bravo!”.

Il bambino mi scruta, prende il foglio, ci pensa un po’ su, attraversa qualche attimo di incertezza e poi disegna …questo:

disegno1

Osservo il disegno. Non sono tenero come “critico d’arte”. Il disegno è bruttino. Una specie di figurina fatta con lo stampino. Chissà quante ne ha fatte uguali e si è sentito dire “Ma guarda come è bravo, gli fa anche la cintura!”. Ne ricavo la netta impressione che il bambino abbia messo mano al suo repertorio dal titolo: Come fare contenti i grandi.

Allora intervengo, e gli chiedo ”Bene, ora hai fatto un bell’omino che secondo te piace ai grandi, ma ti voglio fare una richiesta un po’ strana…mi disegneresti un altro omino? Però devi fare il modo che non mi piaccia!”

Il bambino mi guarda spalancando gli occhi per un istante, poi , senza nessun attimo in mezzo , si mette a disegnare e dopo qualche minuto mi consegna questo:

disegno2_masoni

Ora sono io a spalancare gli occhi. Vedo regole infrante. Non credo alla creatività dei bambini ( il discorso è assai più complesso di quanto si creda), ma alla licenza sì, alla loro libertà assoluta sì. E qui il bambino si mostra libero. Se vorrà esser accettato come disegnatore dovrà munirsi, nella vita, della copertura di una comunità di critici amica. Ma per ora tanto gli basterebbe per sentirsi dire ”Ce la potrebbe fare”.

Un altro esempio? Saliamo con l’età, ora ho davanti a me un quindicenne di scarsa cultura, gli chiedo di disegnarmi un viso. E’ sottinteso che io mi aspetti un bel viso e un bel disegno, curato e precisino.
Così il ragazzo mi accontenta:

disegno_4_masoni

Ecco, quindi il suo disegno: la banalità fattasi segno. Una sorta di media dei disegni possibili, un disegno “grigio”(e non mi riferisco al grigio del disegno, ma al grigiore, alla mediocrità), non perché al suo autore piace il grigio, ma perché il grigio “va bene su tutto”. Quale maestro, insegnante, guida, oserebbe dire al ragazzo che ha disegnato una vera schifezza? Certo, nemmeno io lo farei, direi annuendo che questo è un viso di un ragazzo, per educazione, per non ferirlo.

Ma ora chiedo anche a questo quindicenne la stessa cosa che ho chiesto prima al bambino di sei anni. Anche lui mi guarda per un attimo, poi, velocemente, disegna …questo:

 

disegno_5

Sono , stupito ancora, di fronte a un tratto espressionista, a una mano felice e libera, a un insieme di segni che mi dice qualcosa.

Mi chiedo se ci sia una differenza in queste cose fra bambini, ragazzi e adulti, e allora, impudente, mi rivolgo a un insegnante di 35 anni.

Parlando con lui il discorsa cade sulle case, faccio un po’ di stupidissimi giri di parole per poi arrivare alla domanda: ”Mi disegni una bella casa ?”. La reazione è inattesa, l’adulto è in imbarazzo, mi dice che non sa disegnare. Ne incontro tanti che me lo dicono e ora non aspettatevi che dica la solita idiozia: tutti possono diventare bravi a disegnare!

Non la dico. So che non è vero. Ma so che qualcosa si può comunque disegnare, così insisto, fino a rasentare l’invadenza. Ma lui niente, imbarazzato, sudato, mi dice che non se la sente, proprio è negato per il disegno.

Non ho quindi un esempio di casetta da lui ben disegnata da mostrarvi. Ma ne ho un altro: chiedo, finalmente rinunciando ad avere il “bel disegno”, se è disposto a farmi un brutto disegno, di una brutta casa. A quel punto le paure del mio amico scompaiono, sorride e si mette a disegnare, e produce questo:

 

disegno_casa_1

E questo, dovreste un po’ fidarvi del mio giudizio, non è un brutto disegno. Certo non è la mano di un architetto, ma quelle pareti refrattarie all’angolo retto, quelle molte facce dell’edificio, quell’insulto al parallelepipedo e al tetto a due falde, rappresentano una coraggiosa affermazione di originalità.

Mi ricorda un disegno di un grande architetto espressionista, ovvio, non sono la stessa cosa, ma guardate un po’:

diesgno_casa2

Bene, possiamo concludere.

Quando vediamo un disegno di un bambino (ma anche di altri), non dovremmo chiederci: “Cosa vorrà dire?”, ma ”A chi è destinato?” e “Come glielo hanno chiesto?”.

M.V .M.

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