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Tag: riflessioni per genitori

Trattamenti ortodontici: mezzi terapeutici tradizionali e innovativi per un approccio sistematico

Trattamenti ortodontici: mezzi terapeutici tradizionali e innovativi per un approccio sistematico

L’ortodonzia è una branca medica odontoiatrica che si occupa dello studio e del trattamento delle anomalie di sviluppo e posizione dei denti , mascellari e muscolatura facciale.

La cura con apparecchi mobili e fissi ha lo scopo di ottenere una buona funzione masticatoria , favorire un’armoniosa estetica del viso , dare una stabilità nel tempo al risultato favorendo in questo modo un buono stato di salute del cavo orale.

Ogni caso necessita di una valutazione approfondita cui fa seguito il piano di trattamento; questo viene formulato dopo esame clinico, esami radiografici, fotografie del viso e delle arcate dentarie, modelli studio della bocca , analisi cefalometriche e esami posturali.

Prima di iniziare la terapia è importante che il paziente sia educato a un corretto stile igienico-alimentare e sottoposto a fluoro profilassi per prevenire la demineralizzazione dello smalto.

Nella maggior parte dei casi la terapia viene effettuata attraverso due fasi:

  • la prima detta fase ”intercettiva” può anche iniziare precocemente quando i denti da latte sono ancora presenti . Si applicano mezzi terapeutici quasi sempre mobili in grado di modulare la crescita ossea del palato e della mandibola per ottenere la correzione totale o parziale di una mal occlusione e per impedirne l’aggravamento. Intercetta abitudini viziate del bambino come il succhiamento del dito o del labbro inferiore, la deglutizione atipica,la respirazione orale. In questa fase il coinvolgimento dei genitori è importante per assicurare le condizioni favorevoli alla riuscita della terapia, così come è importante motivare il bambino alle ragioni per cui deve portare l’apparecchio.
  • La seconda fase inizia invece verso il termine della permuta dentaria e permette un corretto allineamento dei denti e una corretta occlusione tra le due arcate dentali. Fa uso di mezzi terapeutici fissi incollati sulla superficie del dente (brackets) a cui si legano degli archi metallici modellati di volta in volta dall’ortodontista ,secondo precise prescrizioni e in grado così di spostare i denti . Terminata la fase attiva del trattamento e ottenuto il corretto rapporto fra i denti delle due arcate, è necessario far seguire la fase di contenzione perché il risultato della cura sia destinato a durare nel tempo. Si applica un apparecchio mobile tipo il posizionatore in materiale elastico oppure una placchetta in resina . La durata di questa fase è variabile e dipende da molteplici fattori come l’età e la gravità della malformazione iniziale. Molto importante è saper continuare a ottenere la collaborazione del paziente anche in questa fase, affinché non appaiano recidive.

Le apparecchiature ortodontiche

Gli apparecchi ortodontici impiegati nelle varie fasi di terapia possono essere fissi o rimovibili. La scelta dipende dal tipo di malformazione e ha sempre una specifica indicazione dettata dallo studio di ogni caso.

Le apparecchiature mobili sono realizzate in resina acrilica e inglobano viti, ganci, archi metallici o cannule entro cui inserire ausiliari, come la trazione extra orale. Vanno portati tutto il giorno, compresa la notte; una volta ottenuto il risultato previsto, il medico può disporre di ridurre le ore di collaborazione.

Le apparecchiature di tipo fisso invece sono costituite da bande e attacchi incollati sulla superficie del dente con una resina adesiva. Dentro questi elementi si lega un arco in lega metallica che è il vero motore del trattamento, in grado di spostare i denti. In alcuni casi è necessario fare uso anche di piccoli elastici intraorali che il paziente impara ad agganciare da solo .

Altri presidi terapeutici che possono essere prescritti sono la trazione extraorale , la mentoniera e la maschera per protrazione.

In epoca più recente è stato introdotto l’uso di micro viti e di piccoli impianti rimovibili da inserire in particolari punti dell’osso, utili in pazienti adulti che seguono una terapia ortodontica preprotesica e che mancano dei denti molari di una emiarcata.

Ortodonzia estetica: si intende l’uso di attacchi in ceramica bianca o materiali polimerici trasparenti il cui impatto è poco disagevole per il paziente in quanto risultano meno visibili.

Esistono anche attacchi incollati sulla superficie interna del dente e questo tipo di terapia si chiama ortodonzia linguale.

Altre terapie sono quelle effettuate con l’uso di mascherine trasparenti sequenziali : queste evitano al paziente di applicare fili e attacchi sui denti , vanno portate con molta regolarità sostituendole ogni quindici giorni. Non possono essere sempre prescritte, ma trovano indicazione solo in alcuni casi di disallineamento dentale.

Nei ragazzi e nei bambini il trattamento preferibile rimane l’apparecchio convenzionale.

Questi presidi terapeuti sono le ultime novità nell’ambito delle apparecchiature ortodontiche per offrire al paziente il massimo risultato estetico anche se non tutte le mal occlusioni possono essere trattate con esse.

 

Ringrazio per questo articolo:

DOTT.SSA ELISABETTA PAGANUZZI
Medico-chirurgo- odontoiatra
Via Lagarina, 8 Brescia
tel: 3397294377

Lavora presso studio dentistico Benini G&C sito all’interno del poliambulatorio SMAO
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Autopalpazione al seno: come farla in maniera corretta

Autopalpazione al seno: come farla in maniera corretta

A cura dell’ufficio stampa Sorgente Genetica

Grazie ad un percorso di screening mirato è possibile monitorare la nostra salute. La prevenzione è molto importante soprattutto per contrastare l’insorgere di malattie oncologiche come ad esempio il tumore al seno. I controlli medici sono indispensabili, ma si può iniziare effettuando un primo screening che consiste nell’autopalpazione del seno, utile per riscontrare sporgenze, anomalie o dolore al seno.

Un controllo costante e preventivo favorisce una diagnosi più rapida e di conseguenza aumentano le possibilità di sopravvivenza. Statistiche affermano che il tasso di sopravvivenza delle donne colpite da tumore al seno a 5 anni dalla diagnosi è del 98% circa¹.

Per effettuare l’autopalpazione del seno è bene eseguire i passaggi nel modo corretto.

Vediamo come.

Prima di procedere, si parte con un’attenta osservazione del seno. Per questa operazione è necessario disporsi davanti ad uno specchio e mantenere le braccia lungo i fianchi. Da questa posizione possiamo osservare se il seno presenta affossamenti, sporgenze, alterazioni del colore e della forma dei capezzoli. Identica osservazione va fatta anche con le braccia alzate.

È possibile ora procedere con l’autopalpazione. Con un braccio sopra la testa, si porta la mano libera sulla mammella (prima una e poi l’altra) e si inizia a tastare cercando di mantenere tese le dita in modo da cercare possibili irregolarità nel tessuto come ispessimenti e indurimenti o masse che hanno tutta l’aria di essere “strane”.

Nella fase successiva ci si sdraia su un letto e si appoggiano testa e spalle sul cuscino. Si porta poi un braccio dietro alla testa e con mano e dita appiattite si effettua ancora una volta l’autopalpazione eseguendo questa movimenti circolari che partono dall’esterno fino ad arrivare al capezzolo. È importante svolgere la palpazione anche nell’incavo dell’ascella dove potrebbero essere presenti dei noduli.

Un altro controllo che è indispensabile effettuare è verificare se si presenta la fuoriuscita di liquidi, stringendo il capezzolo senza fare troppa pressione.

Questo controllo va effettuato almeno una volta al mese e per le donne con ancora il ciclo mestruale è preferibile effettuare l’autopalpazione al termine di questo periodo in quanto il seno risulta più morbido. 

Se si rilevano anomalie come noduli, dolore al seno, fuoriuscita di liquidi o infossamenti è bene rivolgersi ad un medico specialista. Soprattutto per le donne che hanno già familiarità con casi di tumore al seno o all’ovaio è bene effettuare periodicamente degli esami di screening. Test utili per questi casi sono la mammografia, l’ecografia o test genetici per le mutazioni dei geni BRCA. A questi ultimi infatti sono associati l’insorgenza del 15% di casi di tumore alle ovaie e il 5/10% dei tumori al seno.

Per saperne di più sui testi genetici BRCA: www.brcasorgente.it

 

Fonti

1. airc.it
2. Campeau PM, Foulkes WD, Tischkowitz MD. Hereditary breast cancer: New genetic developments, new therapeutic avenues. Human Genetics 2008; 124(1):31–42
3. Pal T, PermuthWey J, Betts JA, et al. BRCA1 and BRCA2 mutations account for a large proportion of ovarian carcinoma cases. Cancer 2005; 104(12):2807–16

Seggiolini auto per bambini, ecco cosa cambierà dal 2017

Seggiolini auto per bambini, ecco cosa cambierà dal 2017

La sicurezza in auto è importantissima, ogni genitore, se interrogato, sarebbe d’accordo.

Eppure le statistiche dicono altro, pare infatti che il 60% dei genitori italiani non utilizzi il seggiolino auto, questo quanto emerso dall’indagine condotta con il Sistema Ulisse dall’Istituto Superiore di Sanità.
La fascia d’età più critica è quella dei bambini tra i 5 e i 12 anni: genitori si sentono più sereni rispetto ai primissimi anni di vita poiché i bambini sono più grandi e sanno stare ben seduti,ma non per questo hanno garantita la sicurezza in auto. E’ doveroso infatti ricordare che la prima causa di morte, in questa fascia di età, è proprio costituita dagli incidenti stradali.
Gli atteggiamenti che espongono maggiormente i bambini al pericolo sono: lo scorretto utilizzo del seggiolino, se non addirittura l’assenza dello stesso e le eccezioni, ovvero la decisione di non utilizzare il seggiolini per tratti brevi o in alcune particolari circostanze.
Spesso l’auto viene considerata un’estensione della casa,e i seggiolini vengono quindi percepiti come delle sedie che servono per stare comodi e portare il bambino all’altezza giusta per la cintura di sicurezza.

Non è per niente così!

I seggiolini auto sono dei veri e propri dispositivi di sicurezza e vanno scelti e utilizzati con cura e seguendo regole precise.

La materia è importante e nel tempo sono state stabilite leggi specifiche.La ECE R44 è la normativa della Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UN/ECE) che ha per oggetto la regolamentazione dei dispositivi di ritenuta per bambini in auto, ovvero seggiolini auto e rialzi.La normativa ora è alla quarta revisione ( ECE R44-04) e viaggia in stretta compagnia con la prima fase della normativa R129 detta i-Size

E’ importante ricordare che le varie revisioni della norma hanno apportato migliorie in termini di aumento dei parametri di sicurezza richiesti,e ora i seggiolini omologati secondo la ECE R44/01 e la ECE R44/02, sono ormai obsoleti e ne è proibito sia l’utilizzo che la vendita.
Questa normativa suddivide le tipologie di seggiolini in base al peso del bambino e stabilisce che i bambini al di sotto dei 9 kg devono viaggiare in seggiolini rivolti in senso contrario alla marcia
Questi i 5 sono i gruppi di peso definiti dalla Legge:

  • Gruppo 0: per bambini di peso inferiore a 10 kg.
  • Gruppo 0+: per bambini di peso inferiore a 13 kg.
  • Gruppo 1: per bambini tra 9 e 18 kg.
  • Gruppo 2: per bambini tra 15 e 25 kg.
  • Gruppo 3: per bambini tra 22 e 36 kg.

Affianco a questa regolamentazione è stata introdotta anche la normativa UN/ECE R129 per aumentare ulteriormente gli standard di sicurezza.

A differenza della ECE R44 la ECE R129 classifica i bambini in base alla loro altezza e non al peso, rende obbligatorio far viaggiare i bambini in senso contrario alla marcia fino ai 15 mesi, richiede l’utilizzo del sistema Isofix di aggancio in auto che riduce i rischi di installazione non corretta e vuole che i seggiolini prima di uscire sul mercato superino anche la prova di impatto laterale

Ecco cosa cambierà dal 2017

L’anno nuovo porterà alcune importanti novità per entrambe le normative. Eccole in sintesi.

Con il nuovo anno per la normativa R44/04: tutti i bambini con un’altezza inferiore ai 125 cm dovranno obbligatoriamente utilizzare un seggiolino auto dotato di schienale e rende obbligatorio far viaggiare il bambino in senso contrario di marcia fino ai 9 kg di peso (mentre la normativa R129 dice fino ai 15 mesi)

Non saranno più in regola i famosi rialzi (booster) senza schienale.

Con l’estate del 2017 dovrebbe entrare in vigore la seconda revisione della R129 , quindi la R129-02 che prevederà che Isofix: il sistema Isofix non sarà più obbligatorio

i genitori potranno scegliere quindi se installare il seggiolino auto con gli agganci Isofix oppure con le cinture di sicurezza del veicolo per i seggiolini auto per i bambini da 100 cm a 150 cm

  • tutti i booster (rialzi) per essere omologati dovranno essere dotati di schienale.
  • obbligatorietà: resta confermata l’obbligatorietà del seggiolino auto fino 150 cm di altezza del bambino (per l’Italia)

E’ importante ricordare che entrambe le normative sono in vigore e continueranno ad esistere fianco a fianco.
Il genitore potrà liberamente scegliere se orientarsi su un seggiolino auto omologato ECE R44/04 o secondo la nuova normativa R129.

In ogni caso sarà utile appoggiarsi ad una guida riassuntiva che racchiude tutte le informazioni da valutare per  una scelta corretta

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Fonte: cercaseggiolini.it

Università online, quello che c’è da sapere

Università online, quello che c’è da sapere

Il titolo di studio oggi è più che mai importante per inserirsi nel mondo del lavoro: è sempre più richiesta la professionalità e la specializzazione e i sacrifici che affrontano le famiglie per dotare i figli del diploma e della laurea sono grandi ma sempre ben ripagati se si arriva al termine del percorso formativo.

Il passaggio dalle scuole superiori all’università generalmente è il più traumatico. Questo sia perché cambia radicalmente la tecnica formativa, sia perché spesso si vive in una città priva di sede universitaria e si è costretti a trasferirsi. Generalmente sono i genitori a coadiuvare i figli nelle scelte delle facoltà e ad assumersi la responsabilità di consigliare e sostenere i ragazzi nelle scelte difficili. Quella dell’allontanamento da casa risulta una scelta difficile, soprattutto per le mamme che spesso soffrono in maniera evidente il distacco dai proprio figli, che nonostante la maggiore età, vengono sempre visto come bisognosi di attenzioni. La soluzione per conciliare istruzione e vita in famiglia comunque esiste ed è diventata una scelta molto utile per chi vuole proseguire gli studi senza lasciare la propria città: l’università online.

Nata per far fronte alle direttive dell’Unione Europea del progetto di e-learning europeo per la condivisione della Cultura, l’Università online è stata equiparata alle Università tradizionali con il Decreto Ministeriale del 17.04.03 nella legge Stanca-Moratti, per la riforma scolastica. La riforma prevede, in questo caso specifico, che si possano seguire le lezioni universitarie anche da casa utilizzando il web. A fronte di questa riforma alcune università si sono attrezzate per curare dei corsi universitari online, e rilasciare le rispettive lauree, valide quanto quelle tradizionali, ma con indiscutibili vantaggi in più.

Uno dei vantaggi principali delle Università online è proprio quello che lo studente non deve seguire i corsi di persona e di conseguenza non è obbligato a cambiare città per proseguire gli studi. In Lombardia per esempio esistono le facoltà dell’Università di Milano Unicusano, che permettono di seguire i corsi a distanza e allo stesso tempo usufruire di supporto didattico in loco quando lo studente ne ha necessità. Altro vantaggio è la possibilità di seguire le lezioni in qualsiasi orario torni comodo essendo scaricabili dal web quando si vuole. Tutta la didattica, testi compresi, è scaricabile online e l’Università cura non solo le lezioni ma anche gli stage aziendali che servono ad ottenere i crediti formativi per le successive abilitazioni.

Questo ovviamente agevola non solo gli studenti fuori sede ma anche coloro che non vogliono interrompere l’attività lavorativa. Anche i disabili ne possono trarre enorme giovamento considerando che per costoro a maggior ragione gli spostamenti sono difficoltosi e dispendiosi. Infine gli over-trenta, decisamente svantaggiati per essere rimasti nell’occhio del ciclone della crisi, e tutti coloro che per trovare lavoro hanno necessità di migliorare il livello professionale, hanno, nelle Università online, un’occasione d’oro per ricominciare.

Cosa fare se mio figlio non ha più la motivazione?

E SE MIO FIGLIO NON HA PIU MOTIVAZIONE?

Mi scrive Luisa mamma di Mattia, un ragazzo di 14 anni, portiere in una locale squadra di calcio. Si sfoga Luisa dicendo che il ragazzo non ha più la motivazione per continuare a giocare, è apatico verso gli amici e l’allenatore e fa spesso errori banali, fatali per la squadra e per il suo futuro da giocatore.
Nella sua lettera mi racconta l’infanzia del piccolo, che, dall’età di 5 anni, spronato dal padre e dagli allenatori segue costantemente gli allenamenti con voglia di fare e tanta passione. Sono pochi i goal subiti nelle tante partite disputate: Mattia è un piccolo Buffon, futuro talento del calcio italiano. Un ragazzo di cui andare fieri, che anche a scuola è sempre stato diligente e motivato.

Il ragazzo ha un talento innato che con dure ore di allenamento lo ha portato avanti, molto avanti nello sport tenendo sempre alta la sua motivazione. Ma da qualche tempo non è più cosi.

Presso gli antichi popoli del Mediterraneo il talento era un’unità di misura di peso (circa 35 chili) e di denaro, metallo prezioso pesato.  Un talento d’oro o d’argento rappresentava una ricchezza importante che gravava di responsabilità chi la possedeva. Nella parabola del Vangelo viene premiato chi ha utilizzato i talenti di denaro ricevuti in custodia, facendoli fruttare. Viene criticato chi  li ha sotterrati, per non correre rischi.

Il talento sportivo (come qualunque altro talento) è una dote innata. 

Importante distinguere, qua tra talento e potenzialità. Il talento infatti si manifesta quando una potenzialità, altrimenti detta anche punto di forza, viene riconosciuta dall’esterno. Quando insomma più di una persona vengono da te a dirti “lo sai che sei veramente un fuoriclasse in questo” e tu non ti rendi conto, non ne hai spesso la percezione. Proprio perchè innato il talento viene spesso dato per scontato.  Se ne è provvisti in modo naturale, se non c’è non si può imparare. Allo stesso modo se non coltivato il talento può essere perso. E’ un valore che non dovrebbe essere disperso ma fatto gemmare e fruttare.E’ meraviglioso poter individuare già nell’infanzia la capacità, il talento che contraddistingue i propri figli. Per un ragazzo, però, arriva un momento in cui il talento può essere una responsabilità gravosa perché non ha gli strumenti per gestire questa dote, per incanalarla lungo la strada che tracci il suo destino di persona adulta.

Mattia si spaventa, sente un peso che non sa gestire. Forse anche non accetta più questo talento.

Mattia sarà un eccellente giocatore amatoriale o un campione? Il calcio sarà la sua professione, la sua realizzazione?

Il ruolo degli adulti nei confronti dei giovani talentuosi è fondamentale, delicato e molto complesso.

Mattia ha la stoffa del campione. Ma ora è in crisi.

Chiamo Luisa e la incontro per una sessione, solo lei ed io . Mi dice che Mattia inventa scuse di ogni genere, commette errori banali e salta spesso gli allenamenti.

E’ de-motivato. Né il successo, né la prospettiva di fama (e guadagni) sportivi, né la gioia di giocare con gli amici di sempre sembrano smuoverlo verso il campo da calcio. Verso quegli impegni e fatiche che ha sempre affrontato, con gioia, per tanti anni. Come sportiva amatoriale e coach so bene che i momenti di crisi come quelli di Mattia hanno una loro storia, possono avere significati diversi ed esiti opposti. Possono essere l’occasione per ritrovare, dentro di noi, radici forti, per proseguire con maggiore determinazione, affrontando le fatiche e le difficoltà richieste dall’impegno sportivo; a volte, al contrario, sono opportunità per riconoscere di aver cambiato strada maturato una nuova identità ed appartenere ad altro.Potrebbe essere giunto il momento per ri-definirsi e orientarsi verso una propria direzione più autentica, in quel momento. Per un ragazzo di 14 anni ancora molto volubile e nel pieno dell’età adolescenziale questi sono momenti di vita difficili da affrontare nella solitudine del proprio disorientamento, spesso emozionalmente ambivalente (desiderio e rifiuto, amore e odio). Richiedono un affiancamento, un accompagnamento da parte dei genitori certamente e anche da un professionista esterno.
Lo spiego a Luisa. Le dico che è importante che Mattia senta la vicinanza dei genitori e dell’allenatore ma che questa sia una vicinanza misurata senza trasformarmi in oppressione.

Sarebbe davvero triste che Mattia proseguisse, a tutti i costi, “per fare contenti i genitori” o gli allenatori; sarebbe, d’altronde, un vero peccato che abbandonasse un’attività appassionante per una crisi che potrebbe avere “solo” bisogno di ascolto, sostegno e incoraggiamento per essere superata.  Questa guida, questo ascolto potrebbe venire da lei Luisa, le dico oppure dal padre oppure ancora da una persona esterna.

Ritengo sia indispensabile ora restare su Mattia e porre a lui due semplici domande:

Cosa ti rende felice, in questo momento?

Cosa ti farebbe alzare, senza sforzo, alle 5 del mattino?

E prepararsi ad accogliere la risposta, qualsiasi essa sia.

Questo aiuterà lui e voi a comprendere le sue priorità, in questo passaggio di vita. Le sue passioni, i suoi stimoli attuali, la sua motivazione più profonda.

Mattia potrebbe parlare dello sport, dello studio, degli amici, di una ragazza, o forse potrebbe restare muto, senza dire nulla o addirittura dare una risposta non attesa. Potremmo scoprire che Mattia ha ancora entusiasmo in quello che fa ma ha (solo) bisogno di allentare i ritmi, di dare spazio ad altre dimensioni di sé. Potrebbe scoprire che il passaggio alle superiori ha posto nuove sfide che lui vuole fronteggiare, distribuendo energie tra impegni diversi e importanti.

E’ meglio spingere, assecondare, imporsi o lasciar fare? Una risposta buona per tutte le situazioni non c’è.  Potrebbe domandarsi, in tutta onestà: chi vuole che Mattia diventi un campione? Di chi è questo obiettivo? e orientare le sue scelte in base alla risposta. Accettando la responsabilità, le opportunità ed i rischi di ogni possibile scelta.

E’ naturale e giusto che siano i genitori a definire i sogni, gli obiettivi e i percorsi dei propri figli, quando sono piccoli. E’ altrettanto naturale e giusto trasferire nelle loro mani la capacità, la libertà e la responsabilità di definire e perseguire i propri sogni e progetti di vita adulta. E’ un processo lento e progressivo. E’ un processo che richiede consapevolezza e impegno, tanto nel genitore quanto nel ragazzo. E’ un processo che può unire genitori e figli nel momento presente gettando le basi per un futuro più maturo, più consapevole e perchè no, anche più motivato.

 

Lucilla Rizzini

Coaching & training
lucilla@lucillarizzini.com
www.lucillarizzini.com

Suona la campanella e si rientra… consigli per una “buona ripresa”

Suona la campanella e si rientra ..alcuni consigli per una “ buona ripresa “

Dott.ssa Annalisa Croci

 

Dopo mesi di vacanza i tempi sono diventati flessibili e le richieste scolastiche sono diminuite lasciando spazio al gioco; il rientro a scuola perciò potrebbe risultare pesante generando tensione nel riprendere in mano i libri, sia per i bimbi che per i genitori.

E’ arrivato il momento della ripresa scolastica: suona la campanella e tutti rientrano fra i banchi; tutti sono coinvolti: insegnanti, bambini e famiglie.La ripresa di una quotidianità, sopita dalle lunghe vacanze estive, porta così alla luce vari aspetti ; ad esempio la gioia del ritrovarsi con i compagni, ma anche ansia, confusione per i preparativi e la curiosità per il nuovo anno scolastico.

Come per gli adulti il lavoro occupa molto tempo e pensieri, anche per i bambini la scuola è un’attività che copre l’intera giornata e i momenti liberi in cui si devono svolgere i compiti; occupa così un posto di rilievo che include aspettative, paure e soddisfazioni.

E’ importante quindi saper gestire al meglio quest’onda emotiva per non trovarsi di fronte ad un carico di stress “ anticipatorio “. I bambini infatti vanno accompagnati e sostenuti amorevolmente aiutandoli a far emergere le loro emozioni, anche quelle negative poiché esse possano essere espresse, comprese e risanate. Lo stato emotivo più frequente all’inizio della scuola è l’incertezza e la curiosità per ciò che accadrà, la paura per il nuovo; questo passaggio quindi deve essere vissuto con tranquillità, così il bambino può associare alla scuola un’idea positiva e un senso di serenità che lo aiuterà a trascorre bene tutto l‘anno.

Ecco alcuni consigli per una buona ripresa:

reintrodurre orari adeguati almeno la settimana prima che inizi la scuola ( orario per coricarsi la sera e la sveglia della mattina ).

Avere attenzione per una sana alimentazione, spezzettando una o due merende leggere nella giornata, evitando che il bambino si abbuffi per tutto il giorno.

Se la scuola è nuova sarebbe utile accompagnarlo qualche giorno prima per far vedere il tragitto e come si presenta la scuola, cercando di essere fiduciosi e rendendo conosciuto l’ambiente che dovrà affrontare all’inizio dell’anno scolastico.

Consiglio utile :

informarsi sugli orari di inizio lezioni e sui rientri pomeridiani, alcune scuole la prima settimana hanno un calendario diverso, pertanto è bene esserne a conoscenza per potersi organizzare a tempo e comunicare il tutto anche al bambino.

 

Se il piccolo appare svogliato e non pronto all’inizio è possibile mostrare , da parte del genitore, entusiasmo puntando sul fatto di ritrovare compagni o insegnati a cui si è affezionato, sottolineare le varie attività che la scuola offre durante l’anno.

 

Ultimo consiglio, ma forse quello più importante: il primo giorno è “ sano “ che il genitore o entrambi accompagnino il figlio a scuola-asilo, specialmente se molto piccolo; dimostrandosi fiduciosi rispetto alluogo  in cui lo lasciano. Talvolta il distacco e l’inserimento sono un vero tasto dolente per i bambini, da ciò si possono manifestare nei giorni seguenti condotte d’evitamento per la scuola, è importante quindi dedicare tempo e attenzione in questa fase.

 

Buon inizio !

Dott.ssa Annalisa Croci

PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA

www.ascoltopsicologo.it

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Come gestire con serenità l’arrivo di un neonato e la presenza di amici a quattro zampe in casa.

Come gestire con serenità l’arrivo di un neonato e la presenza di amici a quattro zampe in casa.

Babies and Dogs……is love…

Molti proprietari di cani che stanno per diventare genitori, sono preoccupati da come il loro amico a quattro zampe possa reagire all’arrivo del neonato.

Effettivamente un bimbo, con i suoi ritmi e le sue esigenze, sconvolge la vita dei genitori e, di conseguenza, anche quella del cane di casa. Inoltre, lo stile di vita della famiglia tende a cambiare radicalmente e spesso il cane vede ridursi drasticamente il tempo dedicato a lui: le passeggiate sono più corte, i momenti di gioco e d’interazione si riducono in frequenza e durata. Perciò, in previsione della nascita del neonato, bisogna fare in modo che il cane impari a conoscere i bambini gradualmente e in modo corretto, associandoli sempre ad esperienze positive.

Quando il bambino arriva a casa, è bene non diminuire la quantità di attenzioni riservate al cane e premiare sempre (con carezze, premi in cibo e giochi ) l’amico a quattro zampe, quando rimane tranquillo . In questo modo, nella sua mente, si creerà un’associazione positiva con l’immagine del bambino. Proprio a tale scopo, evitiamo di punire il cane in presenza del bimbo, altrimenti si rischia, al contrario, un’associazione negativa.

Allo stesso modo, evitiamo di allontanare l’amico a quattro zampe quando tenta un approccio con il bambino: cerchiamo piuttosto di far stare il cane nella stessa stanza con il bimbo, tenendolo magari impegnato con qualche gioco interattivo riempito con del cibo (si tratta di giocattoli che stimolano la mente, il fiuto e la masticazione). Al contrario, se il cane si nasconde o si allontana dal bimbo, non costringiamolo per forza a stare in sua presenza. Se prima dell’arrivo del piccolo il cane era abituato a stare sul divano con voi a guardare la tv, continuate il più possibile a farlo, non allontanatelo da tutte le abitudini che aveva con voi, se no assocerà il bimbo all’allontanamento di tutti i suoi privilegi!

Naturalmente, è sempre necessario supervisionare le interazioni tra cani e bambini, perché anche l’amico a quattro zampe più tranquillo, se disturbato eccessivamente, potrebbe reagire in modo aggressivo per difesa e, comunque, anche giocando, potrebbe fare involontariamente del male al bambino.

Quando non è possibile supervisionare le interazioni tra cane e bambino, perché stiamo preparando il pranzo o altro, allora è preferibile tenerli separati; allo scopo si possono usare dei piccoli cancelli per dividere gli ambienti oppure si può tenere il cane in un altra stanza o in giardino. Se, però, il cane non era abituato a stare all’esterno, non lasciatelo tutta la giornata fuori, si sentirebbe abbandonato, potrebbe piangere oppure cercare continuamente di entrare dalla porta o dalla finestra!

È, inoltre, bene evitare che il bambino tocchi le cose del cane, come la ciotola, la cuccia e i giochi. A questo scopo collochiamo la cuccia in una zona della casa tranquilla e inaccessibile al bimbo. Un cane non correttamente socializzato (significa non abituato fin dalla più tenera età a convivere con i bambini piccoli, lasciato a vivere in un recinto, alla catena o in giardino, lontano dalla famiglia) indipendentemente dalla razza, può non riconoscere un bambino piccolo come appartenente alla specie umana. Un bambino piccolo, infatti, ha proporzioni fisiche diverse da quelle di un adulto umano, emette strilli e versi differenti da quelli di un adulto, si muove a scatti, corre, sgambetta e cade.

Bisogna ricordare che i cani non sono né “buoni”, né “cattivi”.

Sono cani. Il cane non ha un senso morale, non ha una cultura, non ha leggi. E’ un animale e si comporta secondo il proprio etogramma. Si comporta anche secondo l’educazione che ha ricevuto… ed esistono indubbiamente razze (o tipologie) più o meno reattive, più o meno possessive, più o meno mordaci… ma tutti i cani sono tendenzialmente “buoni”, dal punto di vista morale (nostro).

Purtroppo, anche il cane più dolce del mondo, in certe condizioni, può mordere.

Dire“ho lasciato mio figlio da solo con quel cane perché so che è buono” non ha alcun significato, perché il cane può reagire mordendo ad un’infinità di stimoli: il dolore (vedi tirate di coda, dita negli occhi e altre cose che i bambini piccoli a volte compiono in assoluta innocenza – perchè neppure loro hanno ancora ben chiaro i concetti di “giusto” e “sbagliato” – ma che fanno male al cane lo stesso); la difesa del cibo o anche solo di un oggetto (palline, ossetti ecc.); fraintendimento di atteggiamenti amichevoli/giocosi che il cane scambia per minacciosi; suoni che lo infastidiscono (i bambini strillano spesso e volentieri) eccetera eccetera.

Non fate quegli errori del tipo: “ Il cane è bravissimo, si lascia fare di tutto!”. Frasi come questa hanno conseguenze a volte molto pesanti, per il bambino…. ma anche per il cane. Un cane che morde perché ha sentito fastidio e/o dolore è “cattivo”? Neanche per idea: è un cane, che, ricordiamolo, non ha nessunissima arma di difesa al di fuori dei denti, quindi usa quelli. Anche il bambino di due anni per difendere i propri giochi potrebbe arrivare a mordere l’amichetto!

Un bimbo piccolo, al cospetto di un cane, può, e sicuramente lo farà, se non c’è supervisione:

1. infilare un dito in un occhio del cane o in un orecchio o in bocca ;
2. agguantare la pelliccia pizzicandola malamente e strappare i peli;
3. pestare una zampa o la coda;
4. può montare il cane come se fosse il cavallo;
5. toccare un punto dolorante del cane.
6. contendere o appropriarsi di un osso, di un giocattolo suo che il cane vuole, o di un gioco del cane lasciato per terra;
7. entrare nello spazio fisico che il cane considera suo;
8. mettere le mani nella ciotola del cane.

A tutte queste azioni, il cane può rispondere con aggressività “territoriale” o di dominanza.

Non lascerei mai un cane e un bambino piccolo da soli, perché so che esiste una remota possibilità che un gioco innocente possa trasformarsi in un gioco mortale.

La supervisione dell’adulto impedisce al bambino di stressare il cane. Tutti i cani e i bambini devono essere educati al reciproco rispetto e convivenza.

Quindi, il rapporto tra cani e bambini è sicuro quando è mediato da un adulto responsabile che impedisce al bambino di disturbare il cane.

I bambini che crescono con gli animali domestici (cani, gatti, uccellini…), hanno sicuramente una capacità empatica maggiore, capacità di leggere, comprendere le emozioni e i comportamenti altrui, proprio perchè allenati, fin dalla più tenera età, all’osservazione di un essere vivente ricco di bisogni fisici, ma anche psicologici come un animale, e difficilmente interpretabili. I benefici sono, quindi, a livello psicologico ed educativo; interagire con l’animale mette in moto il desiderio di curare un altro essere vivente, di sperimentarsi in una relazione. A livello educativo, insegna ad attendere i tempi dell’altro e la virtù della pazienza. Inoltre, ci sono benefici fisici legati all’attività motoria che il bambino può fare insieme al suo amico a quattro zampe, nonché attività sociali. Un bimbo, insieme al suo animale cattura sempre l’attenzione e suscita simpatia immediata.

Queste indicazioni sono rivolte a chi già possiede un cane prima dell’arrivo del figlio.

In caso contrario, ovvero, quando si decide di prendere un cane dopo la nascita di uno o più figli mi sento di consigliare un’accurata riflessione. Certo che è bello avere un cane e godere delle sua compagnia, ma proprio perchè nessuno abbia problemi, ovviamente anche il cane necessita una attenta autovalutazione dei propri comportamenti e delle proprie possibili capacità!

 

Dott.ssa Mariateresa Bertazzoli

Docente di Psicologia e Pedagogia

Consulente Pedagogica

mariateresabertazzoli@gmail.com

Bullismo: conoscerlo per affrontarlo

Bullismo: conoscerlo per affrontarlo.

Come molte delle parole che oggi sono entrate a far parte del nostro vocabolario quotidiano, la parola “bullo” è un’italianizzazione del termine inglese “bully”, che viene utilizzato per indicare qualcuno che opprime o perseguita una persona, solitamente più debole.

Questo fenomeno, benché sia di forte attualità, è in realtà di lunga data e non è raro trovare nelle storie adolescenziali o infantili di ognuno di noi un “bullo” o ricordarci di quelle volte in cui magari siamo stati noi stessi bulli con i nostri compagni. Si pensi anche a quante storie si possono ritrovare a livello di letteratura o cinematografia che affrontano questo “antico” fenomeno, come Rosso Malpelo di Verga o Gran Torino di Clint Eastwood. Solo in epoca recente però la nostra attenzione è stata particolarmente attirata da questo problema sociale, sia per i numerosi fatti di cronaca ma soprattutto grazie a degli studi che hanno dimostrato quali possono essere le conseguenze psicologiche per le persone che hanno subìto tali prevaricazioni. Tra questi, uno studio pubblicato dall’American Journal of Psichiatry è stato il primo che ha approfondito le conseguenze del bullismo oltre la prima età adulta. E’ stato evidenziato che tra le possibili ripercussioni sperimentate da persone precedentemente vittime di bullismo vi sono peggiori condizioni di salute fisica e psicologica, un aumentato rischio di depressione, disturbi d’ansia e pensieri suicidi. Oltre a ciò, questi tipi di traumi possono influenzare negativamente le relazioni interpersonali e la qualità generale della vita anche a molti anni di distanza.

Per quanto riguarda la situazione italiana, i dati Istat, pubblicati a dicembre 2015 che si riferiscono all’intero 2014, sottolineano che poco più del 50% degli ragazzi compresi tra gli 11 e i 17 anni ha subìto qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi o ragazze. Il 19,8% è vittima assidua di una delle “tipiche” azioni di bullismo, cioè le subisce più volte al mese.

Per il 9,1% gli atti di prepotenza si ripetono con cadenza settimanale. Le prepotenze più comuni che sono state rilevate consistono in offese con brutti soprannomi, parolacce o insulti (12,1%), derisione per l’aspetto fisico e/o il modo di parlare (6,3%), diffamazione (5,1%), esclusione per le proprie opinioni (4,7%), aggressioni con spintoni, botte, calci e pugni (3,8%). Il 16,9% degli intervistati è rimasto vittima di atti di bullismo diretto, cioè caratterizzato da una relazione vis a vis tra la vittima e bullo e il 10,8% di azioni indirette, prive di contatti fisici. Tra le ragazze è minima la differenza tra prepotenze di tipo diretto e indiretto (rispettivamente 16,7% e 14%). Al contrario, tra i maschi le forme dirette (17%) sono più del doppio di quelle indirette (7,7%).

Ma che cos’è veramente il bullismo? Come facciamo a distinguerlo dallo scherzo che solitamente caratterizza le relazioni soprattutto tra adolescenti?

Olweus (1986;1991)) ha scritto: “Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni”. Un’azione si può definire offensiva, come per quanto riguarda le condotte più aggressive, quando una persona arreca intenzionalmente danno o un disagio ad un’altra. L’offesa può avvenire sia attraverso atti fisici più o meno violenti (botte, spintoni, calci) sia verbali come ingiurie, rimproveri, prese in giro. Stante questa definizione, è vero che ogni singolo atto di questo genere potrebbe essere chiamato “bullismo”, ma è altrettanto vero che nella pratica comune si tendono ad escludere fatti meno gravi ed occasionali e ci si concentra invece maggiormente su quei comportamenti che hanno carattere di continuità e di persistenza nel tempo. Questo rappresenta un fattore estremamente importante per discriminare cosa è bullismo da cosa non lo è. E’ inoltre importante sottolineare come, all’interno del repertorio comportamentale del bullo ci possono essere manifestazioni più visibili, come gli attacchi diretti alla vittima, spesso più osservabili nei maschi, e altre meno esplicite ma non meno pericolose, come ad esempio agli atti di isolamento sociale e di intenzionale esclusione dal gruppo, più tipici tra le femmine.

Il bullo e la vittima possono essere sia individui sia gruppi di persone. Solitamente si parla di bullismo qualora vi sia un’asimmetria nella relazione tra bullo e vittima, mentre ciò non avviene quando è presente una maggiore parità a livello di forza fisica o psicologica. In questo caso non si può parlare di un atto di bullismo, perché è in scena una relazione alla pari, in cui non c’è prevalenza di un individuo, ma un’alternanza di ruoli tra vittima e persecutore. Non possiamo parlare di bullismo inoltre quando rileviamo comportamenti molto gravi che si configurano come reati perché in questo caso si parla di atti anti-sociali e devianti.

 

Scopri di più sul bullismo leggendo anche:

Bullo, vittima, gregari e spettatori: gli attori del bullismo

Cosa possono fare i genitori?

Dott.ssa Maura Cavana – Psicologa

Riceve a Palazzolo sull’Oglio e Bergamo

maura.cavana@gmail.com

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Bibliografia:
Bullismo a scuola, D. Olweus, 1996
http://www.stateofmind.it/2014/11/bullismo-conseguenze- eta-adulta/
http://www.stateofmind.it/2015/06/aggressivita-proattiva- reattiva-bullismo/
http://www.istat.it/it/archivio/176335

Le regole dell’infanzia: quanto servono?

Le regole dell’infanzia: quanto servono?

Dott.ssa Annalisa Croci

Le regole sono utili per educare, insegnare i limiti; il bambino ne ha bisogno, ma ovviamente ha bisogno anche di approvazione, riconoscimento e lodi . Volere bene al proprio figlio significa anche dare delle regole.

Senza regole infatti il bambino cresce “ onnipotente “, perciò al momento delle prime relazioni sociali gli sarà difficile tollerare le frustrazioni ed entrare in contatto con gli altri.

Le regole cambiano in base all’età, ad esempio fino al primo anno di vita il bambino è in uno stato di simbiosi, è un tutt’uno con la madre pertanto le regole pertanto possono riguardare i ritmi della giornata: cibo, spostamenti, attesa , ma devono tenere conto delle reali esigenze fisiologiche ed emotive del piccolo. Gli interventi dei genitori dovrebbero essere il meno punitivi possibile, ma rivolti a stabilire una routine e una scansione del giorno e dell’attesa.

Le regole dai due anni circa e all’età scolare cambiano poiché il figlio inizia ad avere il senso del tempo, dello spazio e dei rapporti di causa-effetto. Quindi è possibile stabilire regole e norme generali, per le quali può essere punito se non le rispetta. Dopo aver stabilito delle regole e è necessario comunicarle chiaramente al bambino. È possibile rimproverare o punire, ma prima le regole devo essere spiegate in modo semplice e comprensivo .Talvolta il piccolo reagisce con pianto e i capricci, essi possono rappresentare una modalità per tastare il terreno e comprendere fino a che punto i genitori sono intransigenti o accondiscendenti.Quindi : è compito dell’adulto fornire un limite, un contenimento.

Per i genitori qual’ è lo stile educativo migliore ?

Consiglio uno stile educativo stabile ossia fissare delle regole ed essere coerenti; ad esempio non essere indulgenti o punitivi a seconda dell’umore. Se l’atteggiamento degli adulti che si prendono cura di lui è altalenante e molto diverso, il bambino non comprende lo stile del genitore e quale siano i comportamenti adeguati e corretti.

Spesso i genitori faticano a dire di “ no “, si possono sentire confusi e disorientati nel proporre la regola,timorosi di essere i “ colpevoli “ delle sofferenze dei figli. Essere troppo accondiscendenti non aiuta sicuramente i piccoli e non aiuta loro a saper aspettare o rinunciare.

Quindi..

Il bambino ha bisogno di adulti che gli illustrino e gli ricordino continuamente dei sani comportamenti, non dimenticandosi il divertimento e la curiosità di scoprire ciò che ci circonda.

 

Dott.ssa Annalisa Croci

Psicologa psicoterapeuta

Cel. 334/2357696 – www.ascoltopsicologo.it

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